MUSICA




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Da riscoprire: la storia di “Alice non lo sa” di Francesco De Gregori


Francesco De Gregori s’annuncia così, con una canzone abitata da personaggi abbozzati, ombre dietro alle quali si nascondono chissà quali storie, frasi ad affetto aperte a ogni interpretazione, immagini potenti e nitide, eppure enigmatiche. Il brano s’intitola “Alice” e nel 1973 apre il primo album del cantautore romano “Alice non lo sa”. La scrittura poetica, immaginifica e allegorica di certo folk americano entra nel linguaggio cantautorale italiano, e spiazza un po’ tutti. Liberate dalla necessità di trasmettere un solo significato, di fornire una risposta univoca, le canzoni rinnovano ad ogni ascolto le proprie domande come quadri astratti di cui è facile catturare il sentimento sebbene ne sfugga la logica.


“Alice” esce nel 1973, quando Francesco De Gregori sta ancora cercando la propria strada dopo avere pubblicato l’anno precedente il 33 giri “Theorius campus” in coppia con Antonello Venditti. Bazzica il Folkstudio di Roma, ascolta Bob Dylan e Leonard Cohen, cerca di portare quel modo di scrivere canzoni in Italia. Intanto stringe amicizia con Fabrizio De André, scrive per Amedeo Minghi, traduce canzoni americane, per poi essere messo sotto contratto dall’etichetta discografica It. Il frutto più limpido della sua ricerca è “Alice”. De Gregori la abbozza in finto inglese, per poi sostituire il testo con frasi frutto di scrittura automatica. Ad Anna Bandettini di Repubblica dirà che in quel periodo veniva “da un periodo in cui ero attratto da tutto ciò che nell’arte non seguiva un filo logico. Mi ero innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura automatica, avevo letto Joyce, lo stream of consciousness, Freud e l’interpretazione dei sogni”. Non c’è una storia, c’è la fotografia di un momento vissuto da personaggi senza legame apparente fra di loro. Eppure, grazie al potere della musica, la canzone tutta e certi versi in particolare s’imprimono nell’immaginario collettivo: “Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole”, “Tutti pensarono dietro ai cappelli lo sposo è impazzito oppure ha bevuto”, “Ma la sposa aspetta un figlio e lui lo sa”.

Rincorrere riferimenti e citazioni può essere utile, ma non risolve l’enigma della canzone: la protagonista inconsapevole del mondo che la circonda prende il nome da “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll; il Cesare perduto nella pioggia è Cesare Pavese che aveva effettivamente raccontato d’avere aspettato per lunghe ore sotto la pioggia l’attrice e ballerina Constance Dowling di cui era invaghito; Lili Marlene è la protagonista dell’omonima canzone d’inizio Novecento. Più difficile dire chi siano Irene che si guarda allo specchio o il mendicante arabo con “un cancro nel cappello”, che diventa “qualcosa nel cappello” per evitare la censura della Rai. Dietro al personaggio dello sposo c’è un po’ di De Gregori, come ha raccontato lui stesso a Repubblica: “Non perché volessi sposarmi, ma fuggire. Una fuga che era probabilmente dalla vita cui ero predestinato da studente universitario, fare l’insegnante come mia madre o il bibliotecario come mio padre. Ma forse fuggire anche dal mondo della musica per cui ero uno strano”.

La musica di “Alice” è suonata con tocco leggero, in una miscela di strumenti acustici e archi diretti dal Maestro Luigi Zito. In un’intervista con Chitarre, De Gregori attribuirà l’approccio musicale della canzone alla timidezza e al “ritegno da novizio che avevo allora”. Eppure la canzone diventa talmente significativa da provare una reazione di rigetto: il cantautore reagisce alle critiche circa il carattere incomprendibile del pezzo scrivendo “Niente da capire” e con Fabrizio De André “Oceano” in risposta al figlio di quest’ultimo, Cristiano, che gli chiede di risolvere il rebus di “Alice”. La canzone contribuisce a creare la fama di De Gregori cantautore ermetico. Nel suo libro, l’amico del Folkstudio Giorgio Lo Cascio ricorda le discussioni al bar tra il fonico e il cantautore: “Ma chi è ‘sto Cesare? Ma chi lo conosce! Ma nun poi parlà come magni?”. De Gregori parlerà dell’accusa d’essere ermetico a Paolo Vites in un’intervista inclusa nelle ristampe del 2009 della collana Contemporanea: “È una critica che ho sempre trovato pretestuosa. Chi se l’era inventata fraintendeva anche il significato della parola ‘ermetico’: volevano dire che ero incomprensibile, ma in realtà ermetico vorrebbe dire una cosa un po’ diversa... comunque era una critica che non ho mai accettato, anche perché il fatto che le mie canzoni piacessero e si cominciassero a sentire in giro, dimostrava che la gente le capiva, eccome”.

Scritto in parte durante una vacanza in Grecia, arrangiato con Edoardo De Angelis, che è co-autore dell’unica canzone non interamente composta da De Gregori, “La casa di Hilde”, “Alice non lo sa” è per certi versi ancora acerbo rispetto alle opere che verranno, e in futuro il musicista imparerà ad usare in modo più espressivo la voce, ma già contiene buona parte delle caratteristiche del migliore De Gregori. L’amore per Leonard Cohen suggerisce i nomi di Marianna (da “So long, Marianne”) e Suzanne contenuti in “Marianna al bivio”, che contiene riferimenti anche all’ex produttore Lilli Greco e ad Antonello Venditti, “il poeta che suonava il pianoforte”. Due pezzi, “I musicanti” e “Suonatori di flauto”, raccontano il mestiere di musicista, un argomento cui De Gregori tornerà in futuro, mentre “La casa di Hilde” e “Il ragazzo” testimoniano l’interesse per i racconti d’infanzia e giovinezza. La prima si basa su un ricordo di De Angelis trasfigurato con toni da romanzo d’avventura, la seconda è il racconto della malintesa diversità di chi deve ancora trovare un posto nel mondo, e secondo l’autore deve qualcosa a Lucio Battisti.

Nel gennaio 1973 gli accordi Parigi pongono fine alla guerra in Vietnam che De Gregori evoca in “Saigon”, dove la città diventa simbolo di libertà e il sogno della pace è raccontato attraverso i pensieri di una donna. Dirà il cantautore a Vites che quella “fu una guerra idealizzata e la prima vista in televisione. Tutti facevamo un grande uso della parola rivoluzione e sembrava facilissimo dividere il mondo fra buoni e cattivi. La fantasia stava andando al potere. E tutto il disco di Alice è immerso nello spirito di quel tempo, un tempo in cui forse ci immaginammo migliori di quello che eravamo”. C’è la guerra anche in “1940” che narra l’Italia del 10 giugno attraverso la prospettiva della madre del cantautore che aspetta l’autobus e intanto la gente legge sui giornali che l’“uomo coi baffi” (Hitler) è arrivato a Parigi. È una fotografia dell’ingenuità dei molti che non avevano idea degli orrori che aspettavano dietro l’angolo.

“Alice non lo sa” esce nell’aprile 1973. Francesco De Gregori non sarà tenero col disco e in un giudizio del 1980 riportato nella bio-discografia di Giommaria Monti parla di ingenuità musicali: “Le ritmiche suonate in maniera accademica, non c’è nessuna invenzione né il minimo di fantasia nella realizzazione di queste cose” poiché “gli strumenti si limitano ad accompagnarmi, sono un sottofondo”. Suonato da un bel cast di musicisti, fra cui i Blue Morning del chitarrista Roberto Ciotti, “Alice non lo sa” vende 6.000 copie e arriva al ventinovesimo posto in classifica in un anno in cui, fra gli italiani, spopolano Lucio Battisti con i due album “Il mio canto libero” e “Il nostro caro angelo”, la Patty Pravo di “Pazza idea”, i Pooh di “Parsifal”, l’Ornella Vanoni di “Dettagli”, e sul fronte dei cantautori il Baglioni di “Questo piccolo grande amore” e il De André di “Storia di un impiegato”. In compenso, il 45 giri di “Alice” è fra i 100 più venduti nel corso del 1973. La canzone partecipa persino alla manifestazione Un disco per l’estate. “Mi divertiva questo fatto”, dice il cantautore, citato nel libro “Mi puoi leggere fino a tardi” di Enrico Deregibus, “che la gente avrebbe spento la radio probabilmente, avrebbe detto: chi è questo stron zo?”. E così va: il primo capolavoro di Francesco De Gregori si classifica in ultima posizione.