MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Chi ha vinto il 66° Festival di Sanremo? Il Paese s’interroga, le opzioni non mancano




Ha vinto Pierluigi Bersani, ovviamente. E non soltanto perché gli Stadio rientrano nella categoria dell’usato sicuro. C’è di più: nel settembre del 2012, ai tempi delle prime primarie (quelle ***** da Renzi), l’allora segretario del Pd tenne una manifestazione a Firenze, e proprio nella tana del lupo, dopo aver ricordato l’appena scomparso Roberto Roversi, calò l’asso: “Io dico ai giovani ‘andate avanti’, ma chiedimi chi erano i Beatles, chiedimi di raccontarti la nostra storia”. E Chiedi chi erano i Beatles divenne la canzone ufficiale della campagna, fino alla grande festa del Capranica, la sera della vittoria, quando accompagnò il trionfale ingresso di Bersani in sala.
Ha vinto Matteo Renzi, perché hanno vinto la tenacia e la capacità di rinnovarsi continuamente. Sentite che cosa ha detto Gaetano Curreri in conferenza stampa, rivelando che Un giorno mi dirai, la canzone vicintrice di Sanremo 2016, era stata scartata da Sanremo 2015: “Il provino non aveva il sound Stadio. Il testo era lo stesso, ma il suono non era costruito come nella versione di quest’anno. Nel frattempo ha preso forma anche un concept album di inediti”. Se una canzone non funziona, con umiltà e tenacia puoi migliorarla. È così che Leopolda dopo Leopolda, primaria dopo primaria, Renzi ha saputo conquistare la meritata vittoria.
Matteo Renzi ha perso, la rottamazione è finita: e se lo dice Sanremo, è perché lo pensa il Paese. I ragazzi dei talent show, che volevano rottamare la canzone italiana dei padri e dei fratelli maggiori, e che da anni dominano Sanremo (cinque vittorie negli ultimi sette anni), devono accontentarsi del secondo posto con Francesca Michielin (X-Factor). Gli italiani si sono stufati dei giovani e ritornano alla tradizione, premiando una band che ha debuttato – prima ancora di chiamarsi così – accompagnando Lucio Dalla in Anidride solforosa: l’anno era il 1975, l’anno di nascita di Matteo.
La rottamazione non è un fatto anagrafico, ma meritocratico: è questa l’essenza del renzismo. Gli Stadio sono in campo da quarant’anni, fanno musica di qualità con la passione e lo scrupolo dell’artigiano, hanno lavorato con Roversi e con Verdone, con Dalla e con Guccini, con Vasco e con Noemi, sono un pezzo di cultura popolare alta, a Sanremo sono arrivati sue volte ultimi (nel 1984 e nel 1986), ci hanno riprovato altre due volte (nel 1999 e nel 2007), e finalmente sono riusciti a imporsi. Perché? Perché nell’Italia del merito si vince se si è bravi, non se si appartiene ad una consorteria, ad una moda o ad una lobby. Chi non molla mai, chi è in gamba e ci crede, oggi finalmente può farcela.
Ha vinto Sanremo, che vince sempre ma quest’anno ancora di più: le cinque serate sono state viste da una media di 10.746.429 spettatori, pari al 49,58% di share. È la percentuale più alta degli ultimi 11 anni: per trovare un risultato migliore bisogna risalire al 2005, al primo festival condotto da Bonolis (52,79% di media). E Sanremo, lo sappiamo, è l’Italia di sempre, e l’Italia di sempre quest’anno ha il volto di Carlo Conti, cioè, nelle parole di Mario Lavia, “il lato semplificato-ottimista dell’Italia renziana”. Ma se l’Italia di Sanremo (cioè l’Italia renziana) è, come abbiamo appena detto, l’Italia di sempre, si può concludere che Renzi non sia servito a nulla. Oppure, al contrario, che abbia vinto al punto tale da fondersi, e in così breve tempo, con l’identità profonda del Paese.