MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Ron, quando cucinai per Tina Turner



Non un'autobiografia, ma un libro "per raccontare se stessi, andando oltre la musica per tirare le somme di 45 anni di carriera e far emergere il personaggio Ron, un uomo in continuo movimento che ormai ha fatto pace con l'uomo Rosalino (il vero nome dell'artista, ndr)". Sono tanti i ricordi, gli aneddoti, le storie che Ron ha fissato con un po' di nostalgia nelle pagine di Chissà se lo sai (edito da Piemme). Immancabile Lucio Dalla, pigmalione prima e presenza costante della sua vita, ma qua e là fanno capolino un giovane Biagio Antonacci che da carabiniere a Garlasco cercava di essere notato portando mazzi di rose alla mamma, un'Ivana Spagna che ancora si pente di aver detto no a Vorrei incontrarti Fra Cent'anni che vinse il festival, l'incontro con Jackson Browne e la breve esperienza nel mondo del cinema, così come il rapporto con Dio e l'impegno a favore delle persone malate di Sla. "Quante storie da raccontare. Come quella volta che a Londra, stanco dei pasti precotti, decisi di cucinare spaghetti al sugo nello studio di registrazione. E Tina Turner che passava di là si è fermata a mangiare con me. Ma questo nel libro non c'è". A fare da filo conduttore sono i vini, uno per ogni capitolo, compreso quello che produce lui stesso, il Fra Cent'anni. "A volte l'associazione sarà perché il suo aroma richiama le emozioni che racconto, altre volte perché lo associo a quel momento della mia via, altre volte solo per assonanza con il mio stato d'animo". Pagine in cui si riannodano i fili di una vita intera, tra successi e fallimenti, in un'altalena di emozioni che altro non è che il cammino di un uomo, prima ancora che di un artista, alla continua ricerca di sé. "E quello che è venuto fuori scrivendo - racconta all'ANSA il cantautore - è che finalmente Rosalino e Ron sono diventati fratelli. Rosalino è sempre stato timido e pieno di incertezze, Ron invece una volta sul palco non sarebbe mai sceso. E' stata una dualità forte che a volte mi ha fatto anche dubitare di me stesso. Le mie due anime si sono incontrate davvero sul palco, quando Rosalino ha cominciato a parlare, a confrontarsi con il pubblico. Ora so che posso portarmi a casa gli occhi che mi guardano". Chissà se lo sai, che come sottotitolo recita "tutta una vita per cercare me", parte da lontano, da quando Rosalino, appoggiato dalla sua famiglia, ancora in pantaloncini corti, fa man bassa di tutti i concorsi canori. Tutto sembra facile, come approdare al Festival di Sanremo nel 1970 con Nada, non ancora 17enne. Ma l'Italia sta cambiando. E velocemente. "Gli anni Settanta hanno rappresentato un momento drammatico, si combatteva con la speranza che qualcosa si potesse cambiare. I giovani presero in mano la situazione, si contestavano anche i cantanti. Ora il momento è altrettanto difficile ma non vedo vie d'uscita. I politici sembrano bambini che si tirano penne e quaderni come in prima elementare. Non ho molta fiducia in questo Paese che mi sembra perso. Anche di fronte all'emergenza migranti, un vero disastro, non c'è voglia di organizzarsi". E come l'Italia, anche la musica è cambiata. "Si è "televisionata" - dice Ron -, e gli artisti vengono scelti per le loro potenzialità di portare a casa una serata in termini di share. Il successo dei talent show c'è anche perché i ragazzi cantano brani conosciuti. Non avrebbero lo stesso successo con brani nuovi. Diciamo che manca quella libertà che avevamo un tempo, ora le regole si sono fate stringenti: lunghezza e ritmo devono essere quelli giusti se vuoi passare in radio e far sapere che hai scritto qualcosa". Il nome che ritorna tra le pagine è quello di Lucio. Dalla. "Negli ultimi anni non lavoravamo più insieme, ma eravamo comunque un riferimento l'uno per l'altro. E' questo quello che manca di lui: l'essere un riferimento musicale. Lui era quello a cui facevi sentire un brano quando lo scrivevi. Ora non c'è nessuno. E poi, oltre a essere un grande artista, era una persone grande dentro. Aveva un'apertura incredibile". Con il Festival un rapporto altalenante. "Ci vollero 18 anni prima che tornassi su quel palco dopo la prima esibizione nel 1970. Oggi andare a Sanremo vuol dire rischiare e molto, ma per non rischiare bisognerebbe smettere di giocare". E lui a 62 anni di smettere di giocare non ne ha proprio voglia.