MUSICA




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Da riscoprire: la storia di 'Pigro' di Ivan Graziani


"Pigro" ha rappresentato probabilmente il momento clou della carriera di Ivan Graziani; il disco, sesta prova in studio del cantautore di Teramo, raggiunse il mercato nel 1978, ad un anno di distanza da "I lupi" (il disco con il quale Graziani riuscì a farsi conoscere dal grande pubblico, complice anche il successo del singolo "Lugano addio") e le sue lavorazioni - per la prima volta: prima del '78 il cantautore si era sempre avvalso dell'aiuto di alcuni collaboratori - furono completamente guidate da Ivan, che curò del suo sesto album in studio ogni singolo dettaglio (dirigendo una squadra composta dal bassista Hugh Bullen, il batterista Walter Calloni e il tastierista Claudio Maioli, già al fianco di artisti molto in voga all'epoca quali Eugenio Finardi, gli Area di Demetrio Stratos, Antonello Venditti e Lucio Battisti per album che hanno fatto la storia del rock made in Italy come "Sugo", "Maledetti", "Ullalla", "Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera"). Anche per questo, ad oggi, "Pigro" viene considerato come il disco della maturità del cantautore.

Otto furono i brani che Ivan Graziani decise di includere all'interno di "Pigro", caratterizzati da un linguaggio musicale rock per quanto riguarda l'aspetto musicale e da testi che raccontano storie di inetti, emarginati sociali e vinti per quanto riguarda invece l'aspetto testuale. Il massimo comun denominatore dell'album, il rock, negli otto brani contenuti all'interno del disco mostra sfaccettature sempre diverse: si va dagli accenni rockabilly di "Monna Lisa" (con un accattivante riff al basso, suonato da Bullen), la traccia numero uno, al folk di "Gabriele D'Annunzio", passando per spunti ancora embrionali di grunge in "Paolina", per un mix tra musica da trivio e country in "Sabbia del deserto", per il blues rock di "Fango" e il rock acustico della title track "Pigro". Non si tratta, però, di rock melodico (quello in voga in Italia negli anni '70), ma di puro rock'n'roll, quello nato in America e che, a detta dello stesso cantautore, aveva genesi abruzzesi: "In America, nella seconda metà dell'Ottocento, c'erano più abruzzesi che indiani e questi disgraziati, oltre che lavorare come bestie, avranno cantato e ballato le loro cose, se non altro come ricordo del loro paese. Tra queste, la più sentita e importante è il 'saltarello', che è un tempo molto simile alla tarantella, simile al ballo tondo che c'è in Sardegna", dichiarò il musicista a margine di un'intervista rilasciata a Luigi Granetto.