MUSICA




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Al Bano e Romina Power all'Arena di Verona: cronaca di una delusione


Potrà sembrarvi strano, ma ho chiesto di poter assistere alla serata-evento dell’Arena di Verona di venerdì sera 29 maggio, quella del ritorno in coppia dal vivo di Al Bano e Romina Power, con la sincera aspettativa di vivere un’esperienza allegra e anche, perché non dirlo, un po’ commovente. All’ultimo Festival di Sanremo, la presenza come ospite dell’ex coppia nella vita, ricostituitasi come coppia sulla scena, era stata un momento di grande spettacolo, che anche noi incalliti frequentatori per lavoro della sala stampa abbiamo salutato con grande simpatia. E consideravo la mia presenza a Verona come professionalmente doverosa, sia in quanto cronista della musica sia in quanto storico della canzone italiana.

Ebbene, a chi non abbia assistito alla diretta televisiva dello spettacolo (che si sarà fatto già un’idea per conto suo) sono costretto a riferire di una sostanziale delusione. Perché, dopo un inizio – per quanto ritardato – davvero emozionante (lo spettacolo si è aperto con l’interpretazione da parte di Al Bano del suo primo successo, “Nel sole”, datato 1967, immediatamente seguita dall’interpretazione da parte di Romina Power della canzone del suo primo successo, la delicata “Acqua di mare”, datata 1969), la serata si è sfilacciata in una successione spesso disordinata di esibizioni scoordinate e fuori contesto.

Detto che mi ha sorpreso, ma forse nemmeno troppo, l’ovazione che ha salutato l’ingresso sul palco dell’Arena di Romina Power, che è stata assai più calorosa di quella riservata all’ex marito; e detto che in generale, e per tutta la serata (almeno finché sono rimasto) la presenza della seconda è stata nettamente più gradevole di quella del primo (Al Bano è stato costantemente sopra le righe dal punto di vista vocale: sbilanciando ovviamente l’equilibrio della coppia, e dando la sensazione di voler dimostrare ciò che non ha alcun bisogno di dimostrare, e cioè di possedere una gran voce); il punto è che ho avuto la netta sensazione che non ci fossero, nello spettacolo, né un’idea narrativa né una direzione artistica.

Cori di bambini e cori degli alpini, presenze inspiegabili (Kabir “Sandokan" Bedi costretto a mimare “Il ballo del qua qua”) o invadenti e tromboneggianti (l’attore Michele Placido), lungaggini e scollamenti, performance di pura vanità (i tre brani operistici o sinfonici cantati da Al Bano – l’ultimo dei quali bissato nel giro di tre minuti perché su Rai Uno era partita la pubblicità), esperimenti evidentemente poco provati e quindi poco riusciti (il duetto su “Something stupid” di Frank e Nancy Sinatra, già memorabile per garbo ed eleganza nella versione del 1967 di Johnny Dorelli e Catherine Spaak intitolata “Qualche stupido ‘ti amo’”), momenti francamente imbarazzanti (“The house of the rising sun” straziata dal quintetto Al Bano – Romina Power – Yari Carrisi – Tyrone Power Jr – Pippo Baudo): a volte si ha avuto la sensazione di assistere a un dopo cena in famiglia ampiamente improvvisato, durante il quale chi ha voglia di cantare o suonare lo fa, da solo o con altri dei presenti, tanto si è lì per divertirsi e si ha tutti bevuto un po’.


Ora, capisco il desiderio di festeggiare con figli, parenti e amici la ritrovata armonia di coppia, ma ci si è dimenticati che tutto ciò avveniva su un palcoscenico e davanti a una platea di spettatori paganti, oltre che davanti a una platea di telespettatori (scrivo al rientro da Verona, senza conoscere i risultati dell’Auditel che saranno resi noti sabato mattina, ma scommetterei che molti hanno gettato la spugna prima di me. Io ho resistito fino alla ricomparsa, a mezzanotte passata, di Yari Carrisi, che ha esordito dicendo "Più me la faccio con gli esseri umani più son contento di essere un animale": e a quel punto me ne sono andato, rinunciando al piacere di ascoltare Umberto Tozzi, annunciato ospite con l’immortale “Gloria”).

Eppure l’evento c’era tutto, e alcuni ospiti ben inseriti nel contesto pure (i Ricchi e Poveri, strepitosi in “Sarà perché ti amo”, lo stesso Tozzi, Pippo Baudo, e se vogliamo anche il duo Tullio Solenghi-Massimo Lopez, che hanno “anche” cantato – piuttosto bene, ma a che serviva?). E allora, perché lasciare tanto spazio a materiale superfluo (certe esibizioni soliste di Al Bano e Romina: come le già ricordate escursioni nella lirica, o “Amara terra mia” di Modugno, o la retoricissima “Amanda è libera” del primo, o “Con un paio di blue jeans” della seconda) e non concentrarsi invece sul repertorio della coppia?

L’abbiamo ascoltata in “Sempre sempre”, “E fu subito amore”, “Ci sarà”, “Cara terra mia”, “Nostalgia canaglia”, “Libertà”, “Felicità”, “Sharazan”: bastava aggiungere “Oggi sposi”, “Storia di due innamorati”, “Dialogo” e magari un altro paio di successi minori e la scaletta di uno spettacolo della coppia sarebbe stata già pronta. Tre ospiti con due-tre brani ciascuno (i Ricchi e Poveri, benissimo: “Sarà perché ti amo”, “Mamma Maria” e “Voulez-vous danser”; Umberto Tozzi, perfetto: “Tu”, “Ti amo” e “Gloria” – e magari un Pupo o un Toto Cutugno), una canzone da solisti a testa nei bis (“Nel sole” e “Acqua di mare”), chiusura di gruppo con “Il ballo del qua qua”: e si sarebbe confezionata un’ottima serata-revival anni Ottanta, magari affidandone la presentazione al sempre impeccabile Pippo Baudo – che ha messo una disinvoltissima e professionalissima pezza all’incidente della pubblicità partita a capocchia.

Per quanto riguarda le stonature di Romina Power, che sono state l’oggetto di una tempesta di tweet durante la diretta televisiva, la mia posizione è adamantina: chissenefrega. Romina non è mai stata una grande cantante, non si capisce come potrebbe esserlo diventata dopo vent'anni di assenza dalle scene. Fa la sua parte, mica le si possono chiedere gli acuti strappaugola dell’ex marito.


Lei e Al Bano, grazie alla loro storia, sono una coppia spettacolare, dal punto di vista della chimica: avendo a disposizione un buon canovaccio di testi scritti da un autore capace, sarebbero certamente ottimi protagonisti di una serata divertente ed emozionante – per un certo tipo di pubblico, ovvio, ma mica si pretende che entusiasmino i giovanissimi amanti del rap.

Romina Power ha detto di essere dispiaciuta che la serata di Verona sia stata pensata come un evento unico: bene, qualcuno rimetta mano al progetto e costruisca uno spettacolo da due ore che stia in piedi, e vedrà che con quello si possono portare a casa delle residency di almeno cinque-sei giorni in una decina di grandi città italiane, più alcune serate estive negli stadi. Perché la nostalgia sarà anche canaglia, ma fa staccare biglietti.

Franco Zanetti