MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Dee Dee ha fatto centro

Non ha certo bisogno di presentazione Dee Dee Bridgewater, avendo la cantante visitato e abitato le più grandi città del mondo dove ha presentato i suoi dischi per lo più a tema. L’ultimo risale al 2010 ed è un omaggio a Billie Holiday, ma verso la fine del secolo scorso ne aveva registrato un altro dedicato a Ella Fitzgerald, così come nel 2005 con il suo CD/DVD aveva reso omaggio alla grande canzone francese rivestendo in chiave jazzistica le canzoni più famose del Paese d’oltralpe (chi non ricorda lo splendido “J’ai deux amoureux”, dove dimostrava che il jazz è musica del popolo e vi si può adattare qualsiasi genere di canzone, senza farle perdere il suo fascino?). Non disdegnando neppure la musica pop nel 1990 vinse con in Pooh il nostro Festival di Sanremo e rimase un anno in Italia portando in giro per il nostro Paese i suoi memorabili concerti.



Figlia di artisti, nata a Memphis nel 1950, a 17 anni era già leader di un trio di musica rock e Rhythm and Blues. Agli inizi degli anni 70 era a New York e divenne la cantante principale nel gruppo di Horace Silver, assumendo il nome d’arte di Dee Dee Bridgweater. Da allora non si contano più le partecipazioni con i grandi jazzisti dell’epoca, tra cui Sonni Rollins, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Roach e altri ancora. Incise il suo primo album “Afro Blues” nel 1974 che, opportunamente esportato, la fece conoscere in tutto il mondo. La Francia è stata per un pezzo la sua patria ideale ma si è mossa con costanza e regolarità in paesi africani, scoprendo nuovi musicisti, incidendo con loro musiche locali reinterpretate in chiave jazzistica e portandone esempi sia in Europa che in USA. Da semplice interprete è diventata cantautrice, tanto che ora che è appena uscito il suo nuovo disco ha saputo dare un ottimo esempio anche di questa nuova qualità acquisita.


Il nuovo CD è dedicato a New Orleans e si intitola “Dee Dee’s Feathers”. Nelle interviste che ha concesso alla presentazione del disco, Dee Dee tiene a precisare che l’idea di dedicare un disco a questa città è nata dopo il disastro provocato dall’uragano Katrina, quasi a voler riscattare, dopo quanto era accaduto a causa della forza negativa della natura, la città, considerata patria della musica jazz, all’antico splendore. Così insieme al trombettista Irvin Mayfield ha raccolto la New Orleans Jazz Orchestra in una chiesa sconsacrata e ha creato un concerto dedicato alla città per esaltarne al meglio il valore storico. Ma sarebbe stato troppo facile mettere insieme una serie di brani presi dalla tradizione, perché sarebbe stato come un voler far rivivere un passato senza però pronosticargli un futuro. E così, accanto a canzoni che appartengono al patrimonio jazzistico internazionale come “What a Wonderdfull World “ di Hoagy Carmichael, ha voluto inserire canzoni nuove composte da lei stessa e/o da Irving Mayfield e dal bassista Bill Summers, in alcuni casi cambiando semplicemente le parole ad altre già esistenti per renderle più attuali, quasi a volerle ricondurre a nuova vita. Ne è nata una session di 12 brani che parte dalla forma più tradizionale del jazz per arrivare a musiche più vicine ai nostri anni senza per questo snaturalizzare il sound che comunque mantiene sempre una forte base jazzistica ma che non fa sentire il passare del tempo che è avvenuto in oltre un secolo di musica.



Si incomincia con l’intervento delle bacchette della batteria per la canzone “One Fine Thing”, tradizionale, a cui ha messo i versi Harry Connick Jr., in cui Dee Dee entra, sembra con prepotenza, a tutta voce seguendo i versi per poi abbandonarli con il suo tipico scat. Gli assoli di Mayfield si impongono del pari e siamo in pieno sapore swing. La canzone è seguita da una versione che sembra quasi inedita di “What A Wonderful World” dalla consistente durata di oltre sette minuti, che ha un inizio alla maniera di Benny Goodman,che sembrerebbe non entrarci nulla, ma che subito, pur legandosi a un mood da Armstrong, c’entra ugualmente con un orchestra da “Moonlight Serenade” in cui i fiati sembrano essere privilegiati. Dee Dee canta tutte le parole della strofa per poi lasciare ampio spazio alla tromba di Mayfield. Al quinto minuto e mezzo, la cantante si riprende la canzone e la conclude nel modo più classico possibile, rinunciando alla più piccola nota di scat, che però riprende in pieno, aiutata dal banjo di Victort Atkins e dal piano di Jason Weraver nella travolgente canzone successiva, “Big Chief” con le parole di Earl King Johnson. Ma non finisce qui perché la canzone prosegue nel più travolgente dixieland e dove è aiutata dalle voci di Adonis Rose e da Glen David Andrews. A questo punto si può capire che punte di travolgimento potessero raggiungere le band di New Orleans negli anni d’oro. Segue il moderato “Saint James Infirmary” che dona altre preziosità sia dal punto vocale della Bridgewater che non teme di apparire a tratti una via di mezzo tra Ma Rainey e una Dinah Washington, senza contare le ennesime preziosità della tromba di Mayfiel. La tentazione di elogiare l’esecuzione della canzone successiva è forte ma non è possibile nominare tutti i brani se non dire che ciascuno di essi costituisce un piccolo gioiello e Dee Dee Bridgewater ha raggiunto con questo disco uno dei punti più alti della sua carriera e quello di alternare canzoni molto “dixie” con altre più moderate costituiscono un punto di forza in più del disco, per poterlo apprezzare nella sua totalità.



Alla fine si rimane “storditi” di musica e però se ne vorrebbe ancora: il rimpianto di non aver assistito a quella registrazione è notevole. Non rimane che rimettere il disco su piatto. Il CD è prodotto da Irving Mayfield e distribuito dalla Okeh. Confezione in plexiglas.

Carlo Tomeo