MUSICA




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MUSICA
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James Taylor: l’amicizia è il suo stile, la sua filosofia, la sua storia, la sua arte

Quante volte James Taylor avrà cantato "You've Got a Friend" in quasi cinquant’anni di carriera? Centinaia di volte, è il destino di chi ha in repertorio una grande hit.
Ha ha tante canzoni in scaletta, ma questa chiude un concerto emozionante, divertente e sorprendente, in cui ci ha raccontato la sua vita, ha speso generosamente il suo talento, ci ha conquistati con la sua personalità e ci ha dedicato una serata di grande musica e di storie intime e collettive. Con la classe che solo i grandi artisti hanno sul palco. Ecco, solo alla fine di un concerto così possiamo dire di conoscerlo davvero. Due ore e mezza prima si è presentato cantando Something in the way she moves: “Mi piace iniziare con questo pezzo, lo cantai a Londra davanti a Paul McCartney e George Harrison tanti anni fa, quando tutto è iniziato, per cui mi sembra sempre un buon inizio”. In effetti i due Beatles produssero il suo primo album (anche se il titolo del pezzo fu un regalo prezioso che James fece a George). Subito dopo però canta Today Today Today, dall’ultimo album. L’alfa e l’omega, l’inizio e il presente, come a dire che tutto quello che canterà dopo sta nel mezzo. Il primo set non conosce cali di emozioni, tra vocalizzi gospel (Lo and Behold), arrangiamenti jazz, cover preziose (Everyday di Buddy Holly, riarrangiata completamente), dolci escursioni nel country folk (Country Road, con video di alberi e strade sterrate sui pannelli dietro la band), e capitoli musicali di momenti importanti della sua vita personale. Come l’insuccesso a Broadway, su cui scherza: “Lo show restò i cartellone tre giorni”, che però ci regala l’intensa Millworker; come la nostalgia di casa quando a vent’anni in Inghilterra scrisse Carolina in My Mind; come il pezzo che dedicò al nipotino, figlio di suo fratello, che si chiama come lui, Sweet Baby James. Prima della fine del set prende in mano il grosso cartello su cui è scritta la scaletta che come fosse un menu di prelibatezze ci preannuncia una piccola pausa e subito dopo un secondo set ancora più ricco di bei momenti. Il tutto con grande ironia e simpatia, dal pubblico qualcuno chiede: Mexico? e lui: “Certo!”, qualcun altro: Fire and Rain? e lui: “Eccola qua!” e mostra dove il titolo è scritto. “Fidatevi, it’s a good set!” e poi “In realtà non so bene perché facciamo la pausa, di solito la passo in piedi dietro le quinte guardando l’orologio aspettando di tornare a cantare…”.

E qui arriva l’incredibile sorpresa: si accendono le luci, i musicisti escono e lui invece di andare a tirare il fiato si siede sul bordo del palcoscenico con le gambe a penzoloni e stringe mani, chiacchiera, firma vinili, scherza, fa foto, abbraccia ragazze (di ogni età, sempre vittime del suo fascino), racconta storie, risponde a domande, scherza. Mai visto prima, un clima intimo e caldo di grande amicizia. E qui inizio a capire, ecco cosa rende speciale questo show. L’amicizia è il suo stile, la sua filosofia, la sua storia, la sua arte. Ci parla con confidenza, cita sempre i suoi amici (non solo i Beatles, anche Carol King, la sua famiglia, tutti quelli cui deve qualcosa), presenta i membri della band (meravigliosi musicisti di fama, uno su tutti il grande Steve Gadd) facendone un piccola biografia artistica e consigliandoci i dischi della loro carriera personale e dopo l’applauso stringe loro la mano e li abbraccia (l’amicizia del gruppo si trasforma in affiatamento eccezionale sul palco), scende tra il pubblico e passa la pausa con noi.In tutti questi fatti, prima che a parole, ci dimostra amicizia. E le parole della sua più grande hit arrivano, dopo un sublime secondo ‘good set’ -ricco di blues, assoli, ballate, pietre miliari- cariche di senso. Poco prima ci ha fatto segno di non stare lì seduti, di andare sotto il palco. Corriamo tutti, cantiamo commossi Shed a little light, balliamo scatenati How Sweet It Is (To Be Loved By You) e infine lo ascoltiamo in silenzio quando guardandoci negli occhi ci dice credibile e sincero che da stasera abbiamo un amico in più.

di Giovanni Nahmias