MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Irene Grandi, il (non) brutto anatroccolo che divenne cigno


Piacque molto alla stampa Irene Grandi quando si presentò per la prima volta al Festival di Sanremo, nella categoria dei Giovani. Era il 1994. Piacque ma non vinse e non vinse neppure quando da big si presentò con una canzone scritta per lei da Vasco Rossi, ma si prese una grossa rivincita sul mercato. Cantò “La tua ragazza sempre” e il pubblico la voleva vincente anche se la giuria di qualità fece vincere i pur bravi e qualificati “Avion Travel”. Ma chi vendette più dischi fu lei.

Cantante di genere rock-popolare, Irene Grandi non si è mai fermata e il genere che faceva all’inizio della carriera è cambiato tante volte, ma il suo pubblico non l’ha mai abbandonata. Neanche quando fu una delle prime cantanti italiane a incidere un disco natalizio (cosa molto comune in America e che ha preso piede da noi solo da un paio di anni). E soprattutto non l’abbandonò quando incise la canzone da Hit Parade che era “Brucia la città”, che un personaggio che dettava legge nella scelta dei candidati al festival di Sanremo ebbe la miopia di escludere dalla rassegna. Questo personaggio, di cui non facciamo il nome per evitare polemiche, per fortuna è stato allontanato da certi compiti in cui si e rivelato più volte inadatto.



Irene Grandi è comunque andata avanti per strade sempre diverse, battendo territori che l’allontanavano sempre di più dal genere rock alquanto duro degli inizi per ammorbidirsi nel genere musicale e nella voce. A lei va il merito di aver fatto conoscere ai giovani una bella canzone di Mina, a suo tempo tanto amata dai loro padri, “Sono come tu mi vuoi”. E infine ecco il sodalizio con Bollani, che già l’aveva accompagnata all’inizio della carriera in una Firenze che si stava aprendo a nuove esperienze musicali nel lontano 1992. Allora Irene Grandi era come un anatroccolo che, annaspando sapeva già che sarebbe diventato cigno. Nessuna esperienza musicale l’ha poi spaventata. Si è affidata a nomi eccellenti del mondo musicale degli ultimi venti anni, ma farne i nomi vuol dire scrivere un’eccellente antologia dei cantautori italiani.

E invece parliamo di questo ultimo disco, uscito in occasione del Festival di Sanremo, cui la cantante ha partecipato e che si intitola “Un vento senza nome”, come la canzone sanremese: 11 brani nuovi, nove dei quali scritti da lei per quanto riguarda i testi, aiutata in due di essi da una Cristina Donà che sicuramente gliele invidierà, tanto sono belli. Ma il merito non è solo nei testi, che pur sono in sintonia con la musica. Il merito di Irene è da dividere giustamente con Saverio Lanza, che oltre che suonare diversi strumenti, li ha arrangiati tutti e si è occupato, in questo caso, anche della produzione artistica insieme alla stessa Grandi, senza dimenticare il tocco magico sul pianoforte delle mani di Stefano Bollani che è anche l’autore dell’ultima canzone, oltre che pianista in altre due.


Sonorità diverse, attuali, che prendono di petto l’ascoltatore e lo immobilizzano quasi, fin dalla prima bellissima canzone, cantata a bassa voce che è “A Memoria”, (“A memoria ti saprei dire / quante ciglia hai / Qual è il loro suono / quando le chiudi”), seguita da due brani che ci riportano alla timbrica vocale recente della Grandi, che poi ci fa sentire la canzone di Sanremo il cui testo è stato giudicato criptico da qualcuno. In realtà è la storia di una donna che è andata via e non fa capire da chi si è allontanata. Ma questo poco importa, così Irene risponde alla domanda di chi vuole catalogare, classificare a ogni costo. E invece in questo disco si parla di libertà, di non seguire la corrente a tutti i costi ma di scoprire il proprio istinto facendo uso di tutto il tempo ci cui ha bisogno.

Curiosa la canzone soft scritta da Marco Parente, che nel disco suona alternativamente il piano e la batteria, e che, come dice il titolo, ha il “Cuore bianco”, felice di vivere lontano dai frastuoni e dalle suggestioni cittadine. Altrettanto insolita è “Roba bella” che parla di un venditore di mercato, in questo caso con la voce di Pastis, una mescolanza di folk e blues.

L’ultimo brano è suonato solo da Bollani e Irene non canta ma recita o, se preferite il termine tecnico, il suo è un “recitar cantando”, quasi una ripresa del disco precedente che lei aveva inciso con lo stesso Bollani ma potrebbe anche essere un assaggio di qualcosa di nuovo che ci stanno preparando. Perché il talento non si ferma mai.


Grazie soprattutto alla bellezza della canzone iniziale e a quella presentata a Sanremo, potremmo classificare questo disco una bella prova vocale e orchestrale resa da personaggi che sono ottimi conoscitori ed esecutori di musica non evasiva. Ci aspettiamo comunque ancora di più perché alcune piccole prove di sperimentalismo che, pur abbiamo ravvisato in certi brani, deve portare a risultati “oltre”.

Disco in cofezione digi-pack con booklet riportante i testi delle canzoni e tre belle foto del “cigno” Irene, elegante e sorridente. Disco Columbia distribuito da Sony Music.

Carlo Tomeo