MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Bob Dylan, "Shadows in the night"

Bob Dylan che canta Frank Sinatra. La voce più espressivamente imperfetta della musica rock che canta le canzoni della voce più cristallina mai esistita. La distanza che separa queste due voci, questi due mondi è ciò che rende interessante “Shadows in the night”, il nuovo disco del cantautore americano, che abbiamo ascolto in anteprima.

Originariamente previsto per il 2014, l'album è stato poi rimandato a favore della pubblicazione del Bootleg dedicato alle Basement Tapes. Arriva alla fine il 3 febbraio, dopo l'anticipazione di "Full moon and empty hearts" e "Stay with me". "Shadows in the night" mon è un disco di cover, non è un disco di standard. E’ un gran disco, da ogni punto di vista: la scelta dei brani, l’arrangiamento, l’interpretazione, l’idea.

Questi due mondi sono meno lontani di quanto si pensi: pudicamente, Frank Sinatra, non viene neanche nominato, nella presentazione di “Shadows in the night”, ma Dylan non ha mai nascosto la sua devozione per lui. Nell’unica, stupenda intervista concessa per promuovere questo album Dylan dice: “Frank è una montagna, si deve provare a scalarla, anche se non sai fin dove riesci ad arrivare”". Non si sa cosa Sinatra pensasse di Dylan - nota era la sua avversione per il rock in generale, poi sfumata nel corso della carriera. Leggendaria è la loro apparizione comune: Dylan sul palco, Frank in platea: nel ’95, al concerto per gli 80 anni di Sinatra. Dylan cantò “Restless farewell”, una sua canzone del ’64: la leggenda vuole che fu lo stesso Sinatra a richiederla, all'ultimo momento.

Sta di fatto che l’amore di Dylan per Sinatra è chiaro, fin dalle canzoni scelte dal repertorio di Sinatra. Nessun brano notissimo (se non “Autumn leaves” e “That lucky old sun”), ben quattro canzoni arrivano da “Where are you?”, disco del ’57 (periodo Capitol, il migliore di Sinatra - anche se è un disco particolare: il primo inciso in stereo, e il primo senza il suo arrangiatore storico di quel periodo, Nelson Riddle). Molte altre canzoni dal primo periodo, quello Columbia e una sola dal periodo Reprise, gli anni ’60-‘70 (anche se diverse canzoni, originariamente incise negli anni ’40, poi sono state riprese per la seconda volta in quella fase).

Dylan dice che più che cover, queste sono “uncover” di brani che erano stati seppelliti a forzi idi essere interpretati. Sono riletture quasi sempre minimali: Il metodo scelto è quello di incidere un disco praticamente in presa diretta, con una band di 5 elementi, dominata da chitarre delicate e slide, con qualche spruzzata di archi e fiati (ma sempre delicati e in sottofondo). Anni luce da tutti i dischi che rileggono il “Great american songbook” che ci sono stati propinati in questi anni e dalle interpretazioni filologiche di Sinatra (tipo Mina ne "L'allieva", per rimanere in Italia)

E funziona, oh se funziona. Bootleg e ristampe a parte, la discografia di Dylan degli ultimi anni suscita sempre reazioni opposte: all'amore dei fan si contrappone la tesi - spesso sostenuta in realtà per comoda inerzia - che non canti più, che la sua voce sia andata. Ma “Tempest” del 2012 era un signor disco, sia a livello di scrittura che di interpretazione. E in questo album dimostra di saper cantare, quando vuole: la fragilità della voce è un'ulteriore elemento di emozione più che di debolezza . E dimostra di sapere interpretare, cosa che spesso ha evitato di fare, soprattutto con le proprie canzoni, volutamente snaturate nei concerti. Qua Dylan è molto rispettoso delle melodie originali, meno degli arrangiamenti: il risultato è un disco notturno, che emoziona sempre e a tratti ricorda il Dylan di Daniel Lanois (la produzione qua è di Jack Frost, pseudonimo dello stesso Dylan). Ecco, brano per brano, la storia delle canzoni e le impressioni sulle versione di Dylan.

(Gianni Sibilla)



“I’m a fool to want you”. Scritta nel 1951 da Frank Sinatra con Jack Wolf e Joel Herron, incisa per la Columbia e poi reincisa nel 1957, per la Capitol, per “Where are you?”, poi ripresa da una lunghissima lista di artisti. La versione di Dylan dà subito il tono al lavoro: via gli archi dell'originale, via ogni orpello. Atmosfera minimale, un arpeggio di chitarra, un leggero tappeto sonoro di sfondo, una slide. E lui che canta, alla faccia di chi dice che non ha più voce: non cristallina, un po' roca, fa il crooner e rispetta la melodia a modo suo.

“The night we called it a day”: scritta nel ’41 da Matt Dennis e Tom Adair. Incisa da Sinatra sempre nel ’57 per “Where Are you?”. Un leggero tappeto sonoro di fiati (molto sullo sfondo) apre lo spazio a chitarra e slide. Anche qua la canzone viene spogliata, la melodia rispettata, ma i fiati sono un po' più presenti. Bellissima versione anche questa.

“Stay with me”: l’unica canzone del periodo Reprise, incisa nel ’64 pubblicata prima come singolo e poi nel ’65 per “The Singer Today”. Già nota - è la seconda canzone diffusa per lanciare il disco - si apre con una slide e un tocco di violoncello in sottofondo. Sembra quasi Dylan del periodo Lanois ("Oh Mercy"), più che Dylan che rilegge Sinatra.

“Autumn leaves”: scritta nel 1945 da Jacques Prévert, con musica di Joseph Kosma, portata in America da Johnny Mercer, recuperata da Sinatra sempre nel ’57: è la canzone più nota dell'album. I tristissimi archi di Sinatra, la sua voce quasi disperata lasciano posto anche qua alla slide guitar e all'interpretazione di Dylan, che riesce ad essere altrettanto intensa, ma meno triste. Il brano si trasforma in una ballata country.

“Why try to change me now”: scritta da Cy Coleman e Joseph Allan McCarthy, è l’ultima incisione di Sinatra per la Columbia, nel ’52. Anche qua la versione di Dylan si apre in punta di chitarra, con la slide a fare da contrappunto alla voce di Dylan - il contrasto con la versione di Sinatra è meno netto che in altri casi (per via dell'atmosfera notturna e un po' meno orchestrata dell'originale).

“Some enchanted evening”: un brano del ’49 di Rodgers e Hammerstein, dal musical “South Pacific”, incisa da Sinatra per la prima volta nello stesso anno, poi ripresa negli anni ’60. La canzone in cui la voce di Dylan si mostra più fragile, più rotta - pur conservando tutto il suo fascino. Anche qua bello il contrappunto con chitarra e contrabbasso.


“Full moon and empty arms”: brano del ’45 di Buddy Kaye e Ted Mossman, basata sul Piano Concerto N. 2 di Rachmaninoff. Venne incisa da Sinatra lo stesso anno. Diffusa già l'anno scorso: una ballata notturna, basata su una delicata chitarra ritmica dai sapori jazz, che si unisce a quella in primo piano e alla voce di Dylan. Contemporaneamente vicina (per melodia e ritmi) e lontana (per strumentazione) dalla versione di Sinatra.

“Where are you?”: Canzone scritta nel ’37 da Jimmy McHugh e Harold Adamson, incisa nel 1957 per l'eponimo disco: è un Sinatra più maturo, più riflessivo, e per certi versi più vicino a Dylan rispetto a quello del periodo Columbia. La voce di Dylan mostra tutta la sua maturità, in un'altra interpretazione che rende il brano una ballata country notturna.

"What’ll i do”: Scritta da Irving Berlin nel 1923, incisa da Sinatra nel 1947 e poi nel 1962. Ancora una volta la slide in primo piano, un'altro dei momenti che ricordano più il Dylan del periodo Lanois, un altro gioiello di delicatezza e intensità.

“That lucky old sun”: Canzone del ’49, di Beasley Smith e Haven Gillespie, incisa lo stesso anno da Sinatra, pubblicata due settimane dopo la versione di Louis Armstrong. I fiati che aprono la versione di Dylan, la voce più bassa (ma roca) la avvicinano parecchio all'originale, molto nota, almeno fino a quando le chitarre si fanno sentire, delicatamente, per poi lasciare spazio nuovamente ai fiati nel finale. Un bel modo di chiudere il disco, con l'intepretazione più rispettosa, sia musicalmente che melodicamente.