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Belle and Sebastian, intervista: “Basta carinerie, partiamo all’attacco”

I Belle and Sebastian i fanno musica ballabile? I campioni del folk britannico, chitarrine morbide e trombe delicate, mettono le mani su sintetizzatori e programmazioni? E poi, fanno musica dance con lo scopo di cambiare il mondo? Nel nuovo album “Girls in peacetime want to dance”, il primo d’inediti da cinque anni a questa parte, il gruppo di Stuart Murdoch s’è preso parecchie libertà. “Sai, Stuart era reduce dal lavoro sul suo film (“God help the girl”, ndr), Mick Cooke aveva lasciato la band, ci si era ritrovati a suonare dopo molti anni”, spiega a Rockol il tastierista Chris Geddes. “Sentivamo l’esigenza di sperimentare cose nuove, per tornare ad eccitarci per la musica”. E così un giorno Murdoch s’è presentato alle prove della band dicendo che il nuovo album sarebbe stato modellato sulle edizioni anni ’70 della competizione musicale più kitsch del continente, l’Eurovision Song Contest. “Non andava preso alla lettera. Il punto è che siamo sempre stati cauti nell’imboccare strade nuove, anche quando lo suggeriva la natura di una canzone. Non questa volta. Questa volta siamo andati fino in fondo. Prendi ‘Enter Sylvia Plath’: in passato non l’avremmo mai arrangiata con Arpeggiator e batteria programmata. La frase di Stuart sull’Eurovision era un modo per dire: prendiamoci le libertà che vogliamo senza sentire il dovere di provare alla gente che siamo ancora Belle and Sebastian”.

Non hanno bisogno di provarlo: si sente che sono ancora Belle and Sebastian. Prodotto da Ben Allen nel suo studio di Atlanta, “Girls in peacetime want to dance” è un disco molto più complesso, raffinato e poetico della musica che esce dall’Eurovision Song Contest. E contiene parecchie canzoni – la maggior parte, a ben vedere – in cui la formazione di Glasgow riafferma il suo inconfondibile stile. “È frutto di un’evoluzione naturale. I suoni sintetici sono prodotti da plug-in del computer oppure da sintetizzatori analogici. Ne avevo da parte un bel po’, ma erano vecchi, non funzionavano. Quando ho trovato un tecnico in grado di ripararli, li ho portati alle prove della band. E anche Ben Allen ne ha una bella collezione nel suo studio”. In fondo ogni membro del gruppo ha la passione per un pezzo di musica anni ’70-’80, e non da oggi. Sarah Martin è una fan appassionata dei Depeche Mode, Stevie Jackson ha una cover band di disco music, qualcun altro adora i Blondie. “Per un certo periodo io acquistavo un remix dietro l’altro”, aggiunge Geddes, “roba di Tom Moulton e Arthur Russell, oppure i dischi che David Mancuso suonava al Loft e Larry Levan al Paradise Garage”. E in fondo il debutto di Belle and Sebastian “Tigermilk”, anno 1996, conteneva una stranezza chiamata “Electronic renaissance”.

La copertina retrofuturista di “Girls in peacetime want to dance”, basata sui contrasti guerra-pace, ballo-disabilità, passato-futuro, annuncia alcune canzoni politicizzate, una cosa insolita per il gruppo scozzese. Sono il frutto di una visione comune? “Direi che sono il frutto di un sacco di discussioni caotiche. Come ogni altro gruppo di amici, ci si ritrova e dopo qualche bicchiere ci si lancia in invettive politiche. E poi mentre lavoravamo al disco era in corso il dibattito nazionale sul referendum sull’indipendenza scozzese. È andata male, ma la discussione ha politicizzato la nazione. È una buona cosa”. E così “The cat with the cream” racconta quel che è accaduto nel Regno Unito dopo la crisi finanziaria del 2008, “il modo in cui i conservatori hanno controllato la narrativa e con la scusa della crisi hanno trasferito ricchezza dalle mani dei poveri a quelle dei benestanti”. E poi c’è “Allie”, che lancia con fierezza folk-rock uno sguardo rabbioso sulle cose del mondo. “Quando l’abbiamo incisa ci siamo detti: basta carinerie, partiamo all’attacco”. No, i Belle and Sebastian non sono diventati Billy Bragg. E nonostante quel che si legge di lui su Wikipedia, Geddes non è né vegetariano, né comunista. “Non fateci caso. È un profilo scherzoso scritto quindici anni fa dal nostro ex manager”.

I testi politicizzati non mettono in ombra i talenti di narratore e osservatore di Murdoch che in “Perfect couples” offre il ritratto disincantato di una coppia apparentemente perfetta e in “Nobody’s empire” scrive il testo più personale di sempre, sulla sindrome da affaticamento cronico da cui è affetto. “Confesso che fra di noi non parliamo di testi tanto personali”, spiega Geddes, che pure conosce Murdoch da una ventina d’anni. “Discutiamo di musica, arrangiamenti, sound, ma non di contenuti. Ammiro Stuart immensamente, fin dal giorno in cui l’ho conosciuto. Agli inizi, Isobel Campbell ed io eravamo due ex studentelli e lui ci ha protetti. Non è solo un grande autore di canzoni. Ha un vero talento nel tirare fuori il meglio da ogni membro del gruppo. Ci dà spazio per esprimerci, per sperimentare, persino nelle canzoni che scrive lui. All’inizio lo credevo dotato di un’energia inesauribile. Ce ne ho messo di tempo per capire che era malato”. Ora i Belle and Sebastian si preparano a un tour che toccherà Australia, Asia, America e in maggio il Regno Unito. Hanno paura della reazione del pubblico ai brani più elettronici? Geddes risponde raccontando di una vecchia apparizione dei Kraftwerk in tv: “Sarà stata la fine degli anni ’60, prima della svolta pop. Fecero un pezzo lungo e sperimentale. Avrebbero potuto accontentare il pubblico suonando qualcosa di più facile, ma non l’hanno fatto. Confondere la gente va bene, qualche volta”.

(Claudio Todesco)