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Paolo Conte, intervista: “Agli ‘Snob’ preferisco i dandy”


“Ai suma nen”. "Non ci siamo", "io non sono mai contento": Paolo Conte gioca con il nome di un famoso vino delle cantine Braida, che nell’astigiano ospitano la presentazione di “Snob”, il suo primo disco di inediti in quattro anni (“Nelson” è del 2010). Il vino è l'Ai Suma, “ci siamo”, in piemontese. Invece nel mondo del cantautore astigiano c’è sempre un po’ di lontananza, di disillusione, di alterità rispetto all’attualità, ma sempre raccontata con pudore. E con pudore viene raccontato questo suo ritorno.

“Di certo c’è stata una scintilla, una voglia di scriver musica e parole, di metterci un po’ di fantasia”, dice Conte, quando gli si chiede cosa è cambiato da anni fa, quando ammetteva una certa fatica nella scrittura e poca voglia di continuare a incidere musica. “Snob” contiene invece quindici canzoni-canzoni, in tutto e per tutto contiane, che mostrano che quella fatica è abbondantemente passata. A partire da quella che dà il titolo al disco. Ma lo snobismo è quanto di più lontano dall’attitudine di Paolo Conte, che spiega: “Non ho mai fatto un album concept, è solo il titolo di una canzone, comprensibile anche al mio pubblico all'estero. Ho sempre pensato che ci siano tre tipi di persone non ordinarie che un po’ si somigliano: gli intellettuali, gli snob, i dandy. Io preferisco il dandy, è il più puro, è più profondo. Lo snob è più raffinato, ma anche più superficiale. Ma nella canzone parlo di uno snob di città che viene a turbare la vita di una coppia provinciale, portando un piccolo scompiglio che poi viene risolto in fretta. In realtà non sono e non ho mai voluto essere il cantore della provincia”, precisa poi. "Mi va bene considerarmi cittadino del mondo. Nella provincia, per uno che vuole scrivere, ci sono certi insegnamenti, questo sì, è più leggibile, più sagomata”.

Conte, nelle canzoni del disco, continua a rivendicare la sua voglia di altrove, cantando di Africa, Argentina, tropici. "L’esotismo delle mie canzoni è proprio questo: storie semplici, quotidiane, ma proiettate in un altro mondo più colorato, più teatrale, quasi per pudore. La mia è la tecnica del pudore, me ne sono servito, e mi riesce difficile non servirmene ancora”.

Il pudore è proprio il filo conduttore della chiacchierata con i giornalisti; anche quando si mostra deluso, anzi lontano da quello che vede intorno, Conte lo dice con un’educazione e un tono sempre misurati. “Io che sono vecchio, probabilmente sono ancorato a certi principi estetici del passato. La parole moderno e attuale nell’arte sono due termini molto diversi. Io appartengo al moderno, mi cullo nel moderno. L’attuale non ha la forza rivoluzionaria del moderno”, spiega. “Tutto mi sembra peggiorato: non si respira più l’aria artistica. Sono venuti a mancare degli elementi nella musica, come l’armonia, e questo fa crollare anche le melodie. Sento delle buone cose sul ritmo, ogni tanto, ma un po’ ripetitive. Non sento più fascino”. Lo stesso pudore nell’autodefinirsi artigiano, più che artista, come sempre e ora più che mai: “La parola 'arte' mi fa un po’ paura, alto artigianato mi sembra più modesto. L’artigianato è importantissimo: l’artista deve essere un artigiano, deve avere degli strumenti. Se no rimane tutto una bella idea e basta”


L’immediato futuro è un tour, come sempre, in partenza da Legnano il 25 ottobre. E come sempre suonerà soprattutto repertorio: le nuove canzoni faticheranno ad entrare in repertorio. “L’idea è quella di presentare pochissimo del nuovo album e moltissimo di quelli vecchi”, dice. Ma chi si aspetta un ritorno in grande stile di Paolo Conte deve ricredersi: “Mi tengo comunque al minimo. Mi dedico soprattutto all’enigmistica. Sono uno specialista in rebus, in seconda battuta in crittografia”, dice con il suo sorriso sardonico. E per qualche secondo, il pudore viene finalmente messo da parte.

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