MUSICA




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Dinastie musicali. Sugar&Caselli - "Verdi&Conte, identità del Paese"

Di quel poco che resta dell’eccellenza italiana nelle sette note, dopo tempeste tecnologiche e industriali, accorpamenti, vendite, polverizzazioni in voragini di mega agglomerati globali, l’unica dinastia musicale saldamente nell’oggi e anzi in cauta espansione è anche la più conosciuta: la famiglia Sugar. Il suo impero spazia dall’editoria musicale classica e pop alla colonne sonore, dal management di concerti a video e discografia. Sugar è popolare soprattutto per ragioni di cuore, nell’immaginario collettivo gira intorno alla figura di Caterina Caselli, già icona del beat italiano, scoperta al Piper dal futuro suocero Ladislao Sugar che fondò nel 1932 quello che sarebbe diventato un impero. Moglie di suo figlio ed erede Piero, Caterina è infine madre di Filippo, la terza generazione: a 43 anni, egli è ora presidente del Consiglio di Amministrazione di Sugar Music Spa. Privato e business si fondono felicemente e senza traumi quando di mezzo c’è la musica, e da fuori non pare un così duro lavoro ma lo è. «L’identità culturale di un paese è data anche dalla sua musica, Verdi o Paolo Conte. Quanto conta questa identità per il potere politico?». Caterina va subito al sodo, racconta di un mondo competitivo, del guardare avanti nell’obbligatorio mercato globale, sfruttando le cospicue proprietà editoriali come accadrà a metà settembre a New York, con la sinfonizzazione live delle migliori colonne sonore nazionali: «"La Dolce Vita, Music from Italian Cinema", con animazioni originali, è un progetto che licenzieremo alle grandi orchestre del mondo».
Se le si ricorda che, nei decenni, si è meritata la fama di infallibile talent-scout, portando al successo planetario Andrea Bocelli, lanciando Elisa o Negramaro, Malika Ayane o Raphael Gualazzi, Caterina non sorride neanche: «Siamo sempre a combattere per competere alla pari con gli altri paesi; per fortuna il ministro Franceschini ha capito che la cultura è anche un volano economico e se messa in condizioni può lavorare senza chiedere assistenza, mantenere vive le nostre eccellenze, dare posti di lavoro e generare tasse». Nel suo studio di sobria eleganza, sede storica Sugar in Galleria a Milano, c’è anche Filippo, che sorretto da ottimi studi a Bruxelles ha preso dal nonno ungherese Ladislao il gusto imprenditoriale: serve più l’indole o lo studio? Sorride: «Ci sono gli aspetti emotivi e psicologici nei rapporti con gli artisti e autori. Sono utili anche i miei studi diplomatici. Se non avessi fatto questo, mi sarebbe piaciuto entrare in diplomazia».
Com’era il nonno Ladislao? «Quand’è morto nell’81, a 85 anni, io ne avevo 10. Un nonno vero, mai visto fare il bagno in piscina a Sanremo. Come Roman Vlad, veniva da un contesto molto più avanzato culturalmente». Caterina lo integra: «Parlava 5 lingue, suo padre lo aveva portato a Londra dopo i fatti d’Ungheria. Quando venne ad ascoltarmi a Roma, mi disse: "Sentendo lei, Celentano mi è diventato vecchio"». E Piero, suo marito, prima editore e poi impegnato in impresa ma ora defilato dal luccichio delle scene? «Un grande intellettuale, un saggio che ha distacco verso questo nostro lavoro, dolce e forte di carattere. Come atteggiamento, riconosco in lui qualcosa di suo padre».
Quanto costò, a Caterina, smettere di cantare, dopo il fidanzamento? «Ero molto stanca e il calendario era sempre aperto, ti capitava un Cosenza-Milano, arrivavi in hotel alle 6 del mattino, ora alle 6 mi alzo. C’è stato un momento che mi mancava, quella vita, ho compensato occupandomi di musica da un’altra visuale».
I tre figli di Filippo, paiono già interessati all’impresa? Filippo è cauto: «Sono molto diversi fra loro, vedremo. Io non spingo, come non hanno spinto i miei, perché in futuro questa carriera sarà dura. I prossimi 4 o 5 anni sono importanti per capire che cosa sarà della musica. Il nuovo equilibrio di questo settore sarà puramente digitale, piaccia o no. Io credo in un rinascimento grazie alle tecnologie, ma ci sono alcune battaglie che bisogna vincere, per continuare. Oggi c’è la proprietà intellettuale di serie A - i brevetti - e quella di serie B, creativa. O si riequilibra, o non ce la facciamo. Il problema è che non hai le risorse per fare cose importanti, debbo spendere sempre meno per la musica e i video, è frustrante». E Caterina ritorna sulla politica: «Abbiamo bisogno di politici illuminati, ci dobbiamo poter sedere allo stesso tavolo con tecnici e creativi e inventarci un punto d’incontro. Tanti manager di queste aziende sono fans della musica, ma l’equilibrio non c’è».

Marinella Venegoni

www.lastampa.it