MUSICA




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Una Pietra Montecorvino esagerata (ma non troppo): la recensione di Carlo Tomeo

All’anagrafe è registrata come Barbara D’Alessandro. In arte ha scelto il nome di un paese del foggiano e lo ha spezzato in due per farne un nome e cognome: Pietra Montecorvino. È una delle cantanti dalle voci più personali esistenti in Italia. In Francia o in USA, con la voce che si ritrova, probabilmente le avrebbero fatto incidere un disco all’anno. L’Italia, che in queste cose si è sempre mostrata più tradizionalista, non l’ha collocata tra i grossi nomi della musica leggera ed è un vero peccato perché Pietra Montecorvino è un personaggio dalle mille sfaccettature, dal temperamento che sembra essere irruente e quasi cattivo, ma che si rivela persona sensibile e dolcissima, malgrado la voce aspra che si ritrova e che la contraddistingue fra mille altre. Del resto il nome d’arte non se lo è scelto a caso.

Debuttò come attrice nel 1983, protagonista del film di Renzo Arbore “SS.FF.”, dove cantò la canzone (“Sud”) che divenne la sua più famosa, partecipò a un paio di festival di Sanremo e prestò una convincente interpretazione nel film di Turturro “Passione” del 2010 dove cantò una personalissima versione di “Maruzzella”. Questa la sua biografia più saliente.

Ora, a distanza dai cinque anni, è da poco uscito il suo nuovo CD, il settimo (non contando la sua partecipazione alla compilation con la colonna sonora del film “Cavallli si nasce”). Il suo disco precedente era dedicato a brani evergreen della canzone italiana e che seguiva un disco analogo, dedicato alla canzone napoletana, pubblicato sei anni prima. Adesso invece canta tutti brani nuovi, a parte la riproposta di “Sud”, cantata in coppia con Raiz, (e che è uno dei pezzi forti del disco il cui video è stato girato dal figlio Fulvio) e la cover di una canzone di Barbara.

Il nuovo album si intitola come la canzone d’apertura: “Esagerata” e contiene undici brani dei quali tre sono cantati in napoletano e proprio questi ultimi, secondo il mio parere, rappresentano la parte migliore del disco.

“Esagerata”, parole e musica di Eugenio Bennato è dedicata a Napoli che lo è “ come le grida della vicina di fronte casa / come il casino dei suoi quartieri, / come il Vesuvio del suo panorama / Esagerata come una nota / che non può essere mai stonata / come una musica che suona sempre / esagerata”. La canzone è una ballata in crescendo ed è seguita subito da un’altra ballata (“Terra”, ancora di Bennato, scritta questa volta con Gino Magurno), che allarga il discorso e da Napoli passa a un Sud più ampio dove si descrive una situazione di degrado morale (“Terra di donne contro la camorra / madri coraggio pronte a sputtanarla / Terra di eroi truffati dalla storia / Niente medaglie nemmeno alla memoria”). La voce della Montecorvino assume una tonalità media ma si scatena poi nella terza canzone, una delle più belle di tutto il disco, “Nun me piace”, di cui Magurno ha scritto il testo e la musica e che sul ritmo di un reggae descrive i mali della nostra società che vengono contrabbandati come progresso. A lei si accompagna la voce di Sandro Joyeux che canta in francese “J’aime chanter ce que j’aime / J’aime chanter ce que je pense”.

Il ritmo da reggae continua nella track successiva in cui la voce di Raiz,, si mescola a quella di Pietra, dalla voce ancora più torbida e volutamente rauca: connubio perfetto che rinverdisce una bella canzone, usando un arrangiamento più al passo con i nostri tempi. La terza canzone napoletana, “Uommene” è dedicata invece alle donne vittime delle azioni malvagie degli uomini che le maltrattano fino a ucciderle. Canzone di denuncia, anche questa firmata da Magurno, è “gridata” con convinzione dalla cantante che introduce verso la fine anche un breve stacco rap con parole di rivalsa rivolte al malfattore perché con lei “ha sbagliato palazzo” e viene invitato ad allontanarsi.

Le altre canzoni hanno per tema l’amore e il disamore, alcune scritte da Magurno insieme alla Montecorvino, altre da lei sola, una con Gragnaniello. Un altro duetto del disco è quello con Eugenio Bennato, coautore della canzone, che si intitola “Amo il tuo veleno”, cantata per metà in italiano e per metà in napoletano, con una musica che inizia quasi in sordina e poi incalza in crescendo. La voce di Bennato si mantiene su una tonalità bassa mentre quella di Pietra diventa più rabbiosa verso la fine del brano. Altra canzone di denuncia è “Gabbiani” (“Noi siamo i gabbiani / del lago d’Averno / noi siamo le rime /di dante Alighieri /che è stato all’inferno /…./ E per non avere / niente a che fare con gli esseri / umani /approfittiamo /della natura /che ci ha dato le ali”): un midi-rock che se la sente la Berté la vorrà cantare anche lei.

Il disco termina con una bellissima cover di una canzone di Barbara (“Dis quand reviendras–tu?”) che diventa, grazie alla traduzione di Eugenio Bennato, “Quando tornerai” interpretata con molto sentimento un po’ in italiano e un po’ in francese e chiude ottimamente un disco che è pregevole sotto diversi aspetti: pur rimanendo su un genere pop tradizionale, assume con gli arrangiamenti di Magurno alcune tonalità tra il reggae, il melodico e il folk napoletano. Magurno, oltre a curare gli arrangiamenti, nel CD suona anche le chitarre, l’ukulele, le tastiere e cura la programmazione al computer. Bennato, oltre a cantare, suona il pianoforte e la chitarra classica nell’ultimo brano.

Pietra Montecorvino si è occupata della Direzione artistica.

Il CD è in formato classico in plexiglass con un booklet di accompagnamento riportante i testi delle canzoni.

Carlo Tomeo

http://www.italiapost.info/150761-una-pietra-montecorvino-esagerata-ma-non-troppo-la-recensione/