MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Stevie Wonder, giocosa meraviglia nel concerto con sposini e Tequila


Ci sono serate di musica che riempiono l’anima, non per tifo cieco ma per ciò che un artista quasi assente dalla scena italiana, non più prolifico da tempo sul piano discografico, riesce ancora a insegnare, nell’espressione della sua arte. Stevie Wonder, (colpevolmente) snobbato dai media nazionali ma non dimenticato dal pubblico (un pienone di 9.600 persone intonate, leggere, di ogni età) è stato il gioiello l’altra sera in Piazza Napoleone del Summer Festival di Lucca, la rassegna estiva che più ha brillato quest’estate come qualità e quantità di star.

Da noi sarebbe un improbabile Stefanuccio Meraviglia, e di meraviglie è ancora capace quest’uomo di 64 anni, prima di tutto nella vocalità, cristallina, trasparente, con note altissime e senza nessuna fatica; sembra un miracolo la sua leggerezza, come il fatto che, non vedente, arrivi sul palco non accompagnato, con la tastiera a tracolla e le leggendarie treccioline intrecciate con pazienza che gli coprono ormai soltanto la nuca, sotto una bella pelata lucida. Il segreto di questo concerto è che egli si muove liberamente e quasi a ogni titolo fra i vari strumenti che suona, dal pianoforte alla tastiera, dall’armonica a bocca all’harpejji, un tastierone inventato qualche anni fa e che sembra una gigantesca steel guitar. Reinventa ogni volta il mood delle canzoni conosciute e della serata, dal funky al jazz all’afro alla melodia, con l’aiuto di una potentissima band di 14 elementi: è davvero la proiezione contemporanea di un repertorio classico, di quelli che rimarranno per chi saprà usarli. E poi, interagisce molto con il pubblico, ma non con svenevoli frasi tipo «vi amo tutti» o «su le mani» che fanno venire il latte alle ginocchia: no, lui porge un suggerimento musicale, che il pubblico coglie all’istante.

Così per esempio, dopo aver scaldato gli animi con «How Sweet it is to be loved by You» di Marvin Gaye, e aver fatto salire l’adrenalina con il funky di «Higher Ground», si butta in pezzi inaspettati, muove dalle proprie melodie per innestare brani non suoi, come l’antica «Tequila» appunto all’harpejji, che sfora in «Day Tripper» dei Beatles. C’è un divertito sconcerto del pubblico, che balla e non si sottrae ai cori, finendo per cantare poi anche «Volare». Non è mai una buffonata, il rigore del profilo generale governa ogni divertita stravaganza, c’è chi urla per «Overjoyed» e «Ribbon in the Sky», finché fra «Ebony and Ivory» di Jackson/McCartney e «Apartheid is wrong» Wonder esprime tutta la sua amarezza per le guerre di religione e di etnie e l’assassinio di 290 persone in Ucraina.

E’ la rottura del cerimoniale dei concerti, una visione aperta dalla sapienza musicale, dove trova posto anche il ballo scatenato di due sposi invitati dalla platea al palco senza che la musica venga scalzata dallo scranno, con apoteosi per «I just called to say I love you» e il finale di «Superstition». Una grande lezione di musica popolare di grande, divertita qualità.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it