MUSICA




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Buena Vista Social Club, "adiòs". Un tour mondiale per il canto del cigno



È iniziato l'ultimo tour del gruppo nato dal progetto che, negli anni Novanta, restituì l'anima alla musica cubana. Gli artisti rimasti faranno tappa anche in Italia. Si chiude un'avventura indimenticabile che ha dato vita a dischi, a un documentario e a un mito.
Ciò che resta del Buena Vista Social Club si appresta a dare il via a un lungo tour mondiale il cui titolo non ha bisogno di molte spiegazioni: "Adios". Sarà infatti l'addio al progetto che a fine anni Novanta restituì l'anima alla musica cubana agli occhi del mondo intero. Dopo il primo concerto a Praga, stasera, la "Orquesta Buena Vista Social Club" sarà in Italia il 15 luglio (Festival del Vittoriale di Gardone Riviera, Brescia) e il 17 luglio (Cavea dell'Auditorium Parco della Musica di Roma). Poi date su date per tutto il 2015, fino a un ultimo grande concerto all'Avana. Qualcuno, tra i musicisti superstiti, prova a sdrammatizzare, traducendo quell'addio in un "alla prossima volta". Ma la storia, dopo averli riscoperti tra le sue pieghe, si sta davvero richiudendo sui tanti protagonisti del Buena Vista Social Club.

Ci sono ancora la crooner Omara Portuondo e il chitarrista Eliades Ochoa col cappello da cowboy a ricordare le sue origini nella provincia cubana. Se ne sono andati per sempre Compay Segundo, Ibrahim Ferrer e Ruben Gonzales. Prematuramente, nel 2009, si è spento il bassista Orlando "Cachaito" Lopez, l'unico musicista presente in tutte le 14 tracce del leggendario album. Soprattutto, è Cuba a muovere verso un'altra storia, in una progressiva ma inarrestabile armonizzazione con il resto di un mondo da cui si è tenuta lontano e da cui è stata tenuta a distanza per oltre cinquant'anni. Così, l'addio del Buena Vista assume i connotati di un ultimo messaggio: prima che Chan Chan, Candela o El Cuarto de Tula diventino repertorio dei musicisti di strada per i turisti, non dimenticate.

Resterà indimenticabile l'avventura discografica del Buena Vista Social Club. Fine anni Novanta, quando il mercato era infestato di compilation danzerecce in cui il salsa, un adattamento occidentale dei ritmi afrocubani col puro fine del divertimento sui dancefloor, veniva spacciato per il suono di Cuba. Quando forme musicali come il sòn erano un mistero e la rumba, il cha-cha o il bolero finivano con l'essere mistificati attraverso mille appropriazioni indebite.

Accadde l'imprevedibile. Juan De Marcos Gonzalez, musicista e produttore cubano poco più che quarantenne, un tempo irretito dal rock e dal pop, cambiò repentinamente strada per dedicarsi alla riscoperta delle autentiche radici della musica dell'isola, col progetto di coinvolgerne i veterani in un ensemble chiamato Afro-Cuban All Stars. A Londra ne parlò con l'inglese Nick Gold, fondatore dell'etichetta World Circuit Records, che ci credette. Il tocco finale lo diede il grande Ry Cooder. Passando dal Messico, era giunto a Cuba per una session con chitarristi del Mali e locali. Ma gli africani non giunsero all'appuntamento e Cooder non impiegò molto a sposare il progetto di Gold e Gonzalez.

La mitologia di quei sei giorni di sessions agli Egrem Studios dell'Avana vuole che Cachaito Lopez e il chitarrista Eliades Ochoa, il suonatore di laùd (liuto a 12 corde) Barbarito Torres, il trombettista Manuel "Guajiro" Mirabal e il cantante Manuel "Puntillita" Licea tra gli altri, fossero già della partita, quando Gold, Cooder e Gonzales si misero alla ricerca degli artisti perduti nel tempo.

Il cantante Ibrahim Ferrer, una volta considerato il Nat King Cole di Cuba, si guadagnava da vivere lustrando scarpe. Il pianista Ruben Gonzalez, sofferente di artrite, viveva ormai in totale ritiro. Omara Portuondo, invece, il Buena Vista se la ritrovò davanti all'Egrem: stava incidendo in un'altra sala degli studios. Con il cantante Compay Segundo, maestro del "tres" e dell'armonico, chitarra a sette corde di sua invenzione, tutti avevano vissuto da protagonisti l'epoca d'oro della musica cubana negli anni Quaranta.

Nella Cuba coloniale del dittatore Batista, la divisione per etnie della società cubana era istituzionalizzata e ci si ritrovava in club e associazioni divise razzialmente. Uno di quei luoghi era proprio il Club Social Buena Vista, dove la fusione tra il retaggio ritmico degli schiavi africani e gli stilemi ispanici veniva insegnata, aggiornata e raffinata di continuo.

Per i musicisti usciti da simili palestre, il passaggio ai bordelli e alle sale da ballo della Cuba godereccia di Batista il passo era breve. Ibrahim, Ruben e Compay lavoravano a pieno ritmo ogni sera. Come Omara Portuondo, un destino di emblematico meticciato. Discendente di una ricca famiglia spagnola, sua madre aveva preferito sposare un giocatore di baseball cubano, per di più nero.

Con la rivoluzione castrista, i club della Cuba sala da giochi dei gringos americani furono chiusi. Sorte che toccò anche al Club Social Buena Vista negli anni Sessanta. E su tutta quella scena, da cui nei 40's era partito anche il percussionista Chano Pozo iniettando i ritmi afrocubani nel jazz di Dizzy Gillespie, calò l'oblìo. Compay Segundo non smise mai di suonare, ma per sopravvivere dovette lavorare in una fabbrica di sigari, sua grande passione.

A farli riemergere dal passato fu quell'album, che trovò il suo titolo in una pausa durante la registrazione. Quando Ruben Gonzalez accennò un brano che colpì Cooder. "Cos'è?" chiese il californiano. "Questo pezzo era un po' la mascotte del Club Social Buena Vista" rispose il pianista. A ben vedere, pensò Cooder, in quegli studi era stato riprodotto proprio quel genere di club, musicisti e amici, atmosfera di un tempo che fu. Il nome di quel ritrovo era la perfetta rappresentazione del disco.

Buena Vista Social Club, pubblicato nella nicchia della World Music, con uno straordinario passaparola di portata mondiale arrivò a essere venduto in milioni di copie, ad oggi otto. A vincere un Grammy. E a diventare, nel 1999, un documentario di Wim Wenders candidato all'Oscar. Il regista tedesco, che di musica cubana non sapeva nulla, rimase affascinato dai racconti di Cooder, suo collaboratore in molte colonne sonore. Il chitarrista e ricercatore californiano, entrato a Cuba passando per il Messico, era stato anche multato dalle autorità americane per violazione dell'embargo commerciale eretto dagli Usa nei confronti di Cuba.

Wenders andò a Cuba e filmò le session del nuovo album di Ibrahim Ferrer. Seguì il cantante per le strade dell'Avana, intervistò gli altri protagonisti del Buena Vista e nel 1998 accompagnò l'ensemble, ora richiestissimo, all'estero nei grandi concerti alla Carnegie Hall di New York e al Carré Theatre di Amsterdam. Dove Compay, Ibrahim, Ruben e Omara osservavano silenziosi le vetrine di un mondo a loro sconosciuto. E che adesso li acclamava come star. Una rivincita sulla storia che neanche sognavano, giunta quando la soglia della vecchiaia era stata oltrepassata da tempo.

Compay Segundo è morto nel 2003 all'età di 95 anni, dopo aver suonato anche per Papa Giovanni Paolo II. Ibrahim Ferrer, maestro del son e adepto della Santeria, se n'è andato a 77 anni nel 2005. Ruben Gonzalez, pianista straordinario, maestro nel far scivolare l'improvvisazione jazzistica tra il ribollire delle accentazioni ritmiche afrocubane, è spirato all'Avana nel 2003 a 84 anni. Omara, 83, si appresta all'ultimo giro di rumba col Buena Vista Social Club. Adios amigos, adios Cuba.

Paolo Gallori


http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2014/06/24/news/cuba_tour_d_addio_per_il_buena_vista_social_club-89873649/