MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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I Rolling Stones replicano fra le rovine (ed è tutto un divertimento rock)

«14onFire», è il nome del tour, e di fuochi, fuocherelli e fuochi fatui è stata piena la serata che diventerà un dvd degli Stones, e che inanella voyeurismo e nostalgie rock fin dal primo istante, quando «Jumping Jack Flash» erompe con la chitarra di Keith in ribalda camicia verde e bandana giamaicana. Lo segue Mick in giacca glitter, cammina veloce avanti e indietro come se avesse fretta. Una carica di good vibrations riempie l’aria, tutti tacciono. Avanti così, nonni!

Da giorni a Roma e sul web si fa spirito sull’età dei Rolling Stones, e anche i decori del palco immenso e dei maxischermi, con ampie cornici ramate di ispirazione decò, rimandano agli Anni ‘40 della loro nascita. Figli di una generazione felice che ha avuto posto di lavoro e pensione (loro, anche molto di più), sull’ottimismo collettivo i Quattro hanno costruito una fede in se stessi che perdura. Sul palco hanno sciorinato furia e determinazione, da quando accompagnati da fuochi d’artificio sono saliti (con comodo, quasi all’alba delle 22) dopo il caldo da bagno turco che ha afflitto per ore e ore i 71.500 di tutte le generazioni (in mutande e reggiseno spesso, almeno i più giovani) sprofondati nel catino del Circo Massimo. Ma al supporter - l’ottimo John Mayer con band - e a loro, un refolino gentile ha alleviato le pene del clima.

Che fibra, Mick. Ha una potenza e una determinazione in voce e movimenti da lasciare strabiliati, che s’infili in «Honky Tonk Woman» o in «Simpathy for the Devil», sculetta che se non gli guardassi la faccia non penseresti che è uno che il 26 luglio compie 71 anni. Tutti e quattro sono sembrati rivitalizzati dall’attenzione e dai biglietti venduti in questi giorni, e dalla popolarità tornata a sorridere loro in Italia dopo anni nei quali ce li siamo filati poco: solo 24 mila i biglietti venduti, l’ultima volta a Roma nel 2007, allo stadio Olimpico. Non si sa se ora di mezzo ci sia il famoso sospetto eterno dell’"ultima volta degli Stones dal vivo", un sospetto che per esempio aveva ieri lo spettatore Beppe Grillo (molto divertito e anche un po’ dimagrito, in giacca blu) ma anche la storia tragica di L’Wren avrà fatto la sua parte nel risveglio dell’attenzione.

Misteriosamente scampati alla falce anagrafica che nella ventata di giovanilismo renziano sta mutando il volto dell’Italia, i Rolling Stones si sono dunque goduti come gli spettatori la gloria dell’evento patrocinato dal Comune, d’intesa fra i promoter D’Alessandro&Galli e la kermesse di Rock In Roma. Si sprecano le battute sulle similitudini fra loro e le rovine che li ospitano al Circo Massimo, ma se le facce raccontano la storia che hanno davvero vissuto, le membra guizzanti di Mick, e le dita inesauste di Keith alla faccia dell’artrosi, parlano di una febbre interna all’origine della loro sempre un po’ misteriosa vivacità. Forti motivazioni, orgoglio, un mestiere coltivato in 52 anni, uno (spropositato) senso di sé, evidentemente funzionano.

Qui, poi, è stato come se Sir Laurence Olivier avesse recitato nella cinquantamillesima replica dell’Amleto. Il repertorio degli Stones infatti quello è, immutabile da almeno vent’anni, vista la furba idea di tenere sul palco gli hit eterni da «You Can’t Always Get What You Want» a «Satisfaction», con poche eccezioni, e di lasciare nel cassetto le subito dimenticate e scarse novità degli ultimi anni. E fra le novità c’è certo il ritorno di quel macinachitarre che è Mick Taylor, l’uomo che dal ‘69 al 74 sostituì il defunto Brian Jones. Era uno scheletro allora, è un corpulento vecchietto che regala ora una pazzesca versione di «Midnight Rambler», da lasciare basiti. Riempiono l’aria, con l’accompagnamento puntuale di Ron Wood e il battito classico di Charlie Watts, il tastierista Chuck Leavell, il basso Darryl Jones, il sassofono di Bobby Keys celebre per l’assolo in «Brown Sugar», i coristi Brendan Flower e soprattutto Lisa Fisher, strepitosa in «Gimme Shelter». Un saluto va al grafico John Pasche, che a 24 anni nel ‘70, per 50 dollari, disegnò la linguaccia di cui ancora ieri, e chissà per quanto tempo, saremo circondati. Trionfo.


Marinella Venegoni

www.lastampa.it