MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Addio a Jimmy Scott, eterno fanciullo che mandava brividi quando cantava


Può capitare di ritrovare le originalità più estreme in un vecchietto piccolo piccolo e purtroppo dimenticato di 88 anni, che se n’è andato l’altro giorno così solo, che a dar l’annuncio del trapasso è stato il suo biografo David Ritz.
Jimmy Scott, non lo scordate. Andate a sentirlo su Spotify, dove trovate un ampio spettro della sua produzione; una voce di grana indefinibile, che dà ancora oggi una sottile inquietudine, e che nasceva da una sindrome poco ricorrente, che proibiva a chi ne fosse affetto di raggiungere la pubertà: fenomeno che aveva segnato per sempre le sue corde vocali e naturalmente la sua vita.
Era un tipo piccolissimo, e sembrava sempre un ragazzo, Jimmy Scott. Aveva cominciato a cantare nei ’40 del Novecento, aveva guadagnato il primo hit nell’orchestra di Lionel Hampton ed era poi a lungo scomparso dal grande giro, finché nel ’62 aveva inciso “Falling in Love is Wonderful”, un album jazz che era stato definito dalla rivista Jazz Times “Il Santo Graal degli album jazz vocali”.
Il suo modo di cantare ha influenzato i cantanti più diversi, da Billie Holiday a Dinah Washington a Marvin Gaye. Nessuna sorpresa che l’Axl Rose dei tempi d’oro l’abbia messo nell’olimpo dei suoi ispiratori.
Lou Reed, che di voci fuori dal coro se ne intendeva parecchio, lo ospitò prima nel suo album del ’92 “Magic and Loss” e poi lo volle con sé in tour. Una fama più ampia gli venne dalla canzone “Sycamore Trees” per “Twin Peacks”, brano scritto dallo stesso Lynch. Poi, la vera vecchiaia e l’oblio.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it

Jimmy Scott - Sycamore Trees