MUSICA




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La recensione di Symphonica: il ritorno (a metà) di George Michael

George Michael incise il suo ultimo disco di inediti dieci anni fa.

Dopo di allora si è esibito in diversi concerti e ha pubblicato una compilation dei suoi successi con solo tre brani inediti. Nel 2011 ha iniziato il suo tour “Symphonica”, interrotto per quasi un anno per gravi motivi di salute e ripreso poi sporadicamente. In questi concerti, applauditissimi, il cantante ha stravolto completamente il suo genere musicale, volendo farsi accompagnare da una grande orchestra sinfonica (da qui il titolo del tour) e ricorrendo ad arrangiamenti all’uopo confezionati. Era lecito a questo punto aspettarsi almeno un DVD che contenesse una di quelle serate registrata per intero. E invece George ha fatto uscire un CD di 14 canzoni, cover di suoi e altrui successi, scelte da quei concerti, che diventano 17 nella versione DeLuxe, con un 18° brano in più nella versione di vendita in digitale, quella che peraltro è risultata essere finora la più richiesta.

Perché una serie di concerti con l’accompagnamento di una grande orchestra sinfonica? Perché è di moda (vedi gli esempi di Robin Williams, di Anthony and Johnson, del nostro Battiato, dei Baustelle, tanto per restare in territorio più conosciuto, ma molti altri esempi si possono citare tra cui buone ultime quelli di Zola Jesus e Sylvie Vartan).

C’è da dire, tuttavia, che non sempre le ciambelle riescono con il buco. Se, per esempio, si desidera eseguire un repertorio di classici americani, ben venga un disco come il primo di Robin Williams, dove l’orchestra esegue in maniera “classica” celebri evergreen. Se si vuole rinverdire un repertorio più recente, rivestendo con nuovi abiti (leggi arrangiamenti più “sinfonici”) canzoni pop-rock, quasi a volergli conferire un maggiore prestigio, bisogna avere una tempra vocale di notevole spessore e così si può ottenere un prezioso risultato come quello che ottenne Anthony and Johnson.

Ma se si desidera prendere a esempio un cantante come Tony Bennett, allora bisogna ponderare bene la scaletta delle canzoni e gli arrangiamenti orchestrali. E qui veniamo al punto.

Il disco di George Michael ha un inizio folgorante: uno scrosciare di applausi da parte del pubblico, un’affascinante apertura dei fiati dell’orchestra che preannunciano una breve ouverture subito seguita dalla voce in forma smagliante di George Michael che canta “Through”; ottima prova cui segue, senza soluzione di continuità una divertita “My Baby Just Cares For Me”, cavallo di battaglia di Nina Simone, molto swingata ma purtroppo troppo corta, appena due minuti scarsi. Poi il silenzio di pochi secondi seguiti da un’ottima interpretazione di “A Different Corner” e, a seguire, altre tre ballate, sempre rese con voce eccellente che riesce persino a mettere in secondo piano gli arrangiamenti, comunque di routine. Tra queste la cover di “Let Her Down Easy” di Terence Trent d’Arby, scelta come singolo-pilota. Finalmente si arriva a “Feelin’ Good”, l’unico episodio rhythm and blues di tutto il disco: un inizio lentissimo a cappella seguito da percussioni irruenti e da un forte spiegamento dei fiati, dove finalmente George sembra scatenarsi vocalmente. A questo punto il disco può essere considerato terminato, nel senso che tutto quello che segue sa di “dejà entendu”: a seconda dei brani ritroviamo musiche alla Bacharach o spiritual (come in “One More Try”). I “ nuovi abiti” fatti indossare a canzoni come “Idol” ,“Wild is Wind” o “Roxanne” farebbero rimpiangere gli originali, se non ci fosse la voce di George, ora dolce, ora possente, ora soffusa, ora spiegata in toni alti, ora in falsetto. Ma quello che disturba fondamentalmente è la mancanza di continuità degli applausi al termine di ogni canzone, per cui all’ascoltatore viene persino tolto il gusto di ascoltare un vero e proprio concerto, ma solo delle canzoni, peraltro tutte ballate, slegate tra loro e infarcite ogni tanto da qualche applauso.

L’humus del concerto lo si può trovare solo nell’ultimo brano, una lodevolissima “You’ve Changed” e, soprattutto nella traccia digitale non compresa nel disco: una “I Remember You” eseguita con grandissima classe col solo accompagnamento dell’arpa.

Magari ascoltando un concerto nella sua interezza il giudizio dato potrebbe essere completamente ribaltato, ma in questo caso di canzoni live, registrate qua e là in tour di concerti avvenuti nell’arco di più di due anni, ma che sono durati di meno a causa delle interruzioni per malattia del cantante, rimane solo un senso di frammentarietà che non appaga. Visto che il disco ha incontrato comunque il favore del pubblico, sarebbe il caso di pubblicarne uno nuovo con un intero concerto, perché sicuramente Michael non ha cantato solo ballate ma si è esibito in diversi generi, avendo avuto in più occasioni anche ospiti di prestigio.

L’attuale disco è stato prodotto da Michael stesso insieme a Phil Ramone, deceduto recentemente. I direttori d’orchestra sono diversi, e cosi pure i musicisti, essendo state diverse le date dei concerti. Se c’è da fare una scelta d’acquisto tra la versione normale e quella DeLuxe si consiglia la prima che appare più che sufficiente: 17 brani, di cui solo due ritmati e 15 tutte ballate stile crooner, sono francamente troppe: rischio monotonia! In commercio, in esclusiva su Amazon, anche la versione Blu Ray audio.

Carlo Tomeo

http://www.italiapost.info/137272-la-recensione-di-symphonica-il-ritorno-a-meta-di-george-michael/