MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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I Coldplay, e le storie dei loro fantasmi


I Coldplay pubblicano il loro sesto album ed ecco aprirsi le polemiche, indipendentemente dalle vendite, che pur sono copiose. C’è chi rimpiange brani latini come “Viva la vida” o le sonorità indie-rock di “Every Teardrop is A Waterfall” dal precedente album “Mylo Xiloto”, dimenticando che la band aveva iniziato con un genere ben diverso se si pensa a “Yellow” o a “Shire” e parliamo di rock britannico.

Ma il termine di “rock alternativo”, che è stato attribuito alla band, sottende anche una parola come “ricerca”. Ora il nuovo album, che si intitola “Ghost Stories”, è proprio frutto di tale ricerca. Purtroppo il disco, bellissimo, non è stato accolto molto favorevolmente né dalla critica né dai fan meno incalliti e probabilmente chi ne farà le spese sarà il prossimo album, quando la gente, prima di comprare “a scatola chiusa” si ricorderà della mezza delusione provata con “Ghost Stories”. Io che il disco l’ho comprato “a scatola aperta” posso solo dire dire che la band è andata avanti, creando un album che merita un enorme rispetto, perché è stato poco studiato a tavolino e molto costruito con il cuore. Che vuol dire sentimento. Romanticamente si è parlato parecchio della storia finita tra Chris Martin, leader del gruppo, e la sua compagna Gwyneth Paltrow. In effetti ascoltando le parole delle varie canzoni si può intuire che esse siano nate da una sofferenza di natura sentimentale e Martin sembra aver composto la maggior parte delle canzoni “senza ritegno e pudore” nel momento in cui descrive la sua disperazione o disserta di questa strana alchimia che lega due persone e che si chiama amore ma che lui chiama “magic”.

Qualsiasi siano le motivazioni di base, il risultato del disco può spiazzare i rockettari più incalliti ma sa farsi valere per quello che in realtà è: un lavoro per il quale la parola “interessante” è termine riduttivo e non può essere classificato di serie B come, troppo semplicisticamente, si è sentito dire e letto in giro. Già la prima traccia indica il colore che connota tutto il CD: “Always in My Head”, con un inizio corale, quasi religioso, cui si aggiungono le percussioni dalle sonorità quasi smorzate, dopo 40 secondi, che non sono pochi per un inizio disco, e quindi la voce di Martin che lamenta “io penso a te /non riesco a dormire / non dimentico /tu sei sempre nella mia mente”. Poi, ecco la seconda traccia, quel “Midnight” il cui video già aveva invaso i media da due mesi, come primo singolo promozionale, e che rincara la dose: suggestive le immagini e suggestiva la musica, con un martellio insistente creato dal sintetizzatore che ipnotizza l’ascoltatore mentre guarda un misterioso filmato in bianco e nero, appena spezzato da veloci lampi colorati, dove si vedono figure vaganti in un bosco notturno, che sembrano irreali (fantasmi?). Nonostante sia fondamentalmente melodico, il brano acquista un certo ritmo verso la fine, quando anche le voci della band si spostano su una tonalità contraffatta. (Questa base ritmica del sintetizzatore la troveremo poi sempre presente nelle successive canzoni e costituisce quindi il leit-motiv di tutto l’album). Un video e una canzone come questa non possono non piacere, così come non può non piacere la canzone “Magic”, sia nella musica che nel testo sempre riferito all’amore (”Chiamalo magico / chiamalo reale / e anche se mi sono infranto in due / io lo chiamo magico quando sono vicino a te”). La voce in falsetto di Martin si fa sempre più disperata nel corso della canzone, mentre aumenta il volume della base musicale, con la batteria in sottofondo che continua la sua scansione come a voler ribadire il concetto della magia del sentimento. In “True Love”, anche se il sound è più ritmato, la disperazione di Martin raggiunge la parte più acuta: “dimmi che mi ami / dimmi che è vero / e se non lo è / dimmi una bugia”… In”Oceans” si ravvisa una ennesima implorazione all’amore che non vuole tornare. La canzone è eseguita su un assolo alla chitarra di Johnny Burkland ed è una ballata che si avvicina al new-country. Si potrebbe continuare descrivendo ogni singola canzone, ognuna di esse rappresentando un tassello di un discorso unico, quasi una litania, nel senso positivo, dove non sembra esserci posto per l’ottimismo, e le percussioni, che dovrebbero apportare movimento, sembrano invece procedere stancamente ma non possono vivacizzare ciò che né la melodia dei brani né il tema dei testi lo permettono ma, al contrario appaiono quasi un battito cardiaco o, se preferite, un immaginario movimento sincronico d’ali spiegate (quelle rappresentate in copertina).

L’album è costituito da nove canzoni, ma esiste la versione deLuxe, in esclusiva per il mercato USA, che ne contiene altre tre, tra cui “Ghost Story”, l’unico brano di musica rock, grazie anche alle chitarre di Chris Martin e di Johnny Burkland, suonate con veemenza, e alla batteria in primo piano di Will Champion.

La traccia finale è in realtà una ripresa di un minuto e mezzo di “O”, che aveva chiuso l’edizione normale dell’album: un brano di sola musica e coro senza alcun testo, quasi un breve riassunto delle armonie appena ascoltate. Picchiettii elettronici appena accennati lo chiudono definitivamente e fanno da sigillo a un disco non comune che regala alla fine un senso di pienezza appagante in chi lo ascolta con attenzione. Il disco è prodotto dagli stessi Coldplay e da Pal Epworth, Daniel Green e Rilk Simpson. Le canzoni sono firmate da tutti i componenti della band, alla quale si è aggiunto Tim Bergling per la sola canzone “A Sky Full of Stars”.

La band ha già tenuto 4 concerti promozionali in Europa. Altre due date saranno in giugno a Tokyo e a Sidney e a luglio a Londra.

Carlo Tomeo

http://www.italiapost.info/137350-i-cold-play-e-le-storie-dei-loro-fantasmi/