MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Ad Arisa il Festival della bruttezza 2014 - di Gian Paolo Polesini

In finale con Gualazzi e Rubino. Di bellezza promessa ne abbiamo individuata ben poca. A chi il Sanremo 2015? C’è chi dice Renzi


Mancava soltanto che il vincitore, alle tre del mattino, sfidasse il suo ottorinolaringoiatra di fiducia in un complesso meccanismo di televoto: le preferenze dei suoi condomini sommate a quelle dei residenti di Campobasso. E svecchiateli quei finali contorti, eterni, insopportabili.
Va be’, la palma del festival della bruttezza 2014 è finita sul caminetto di X Factor Arisa per Controvento. In finale anche Gualazzi e Rubino.
Vi aspettavate Renga? Anche noi, tanto che l’incipit di questo pezzo era già bello che fatto e pronto a mezzanotte. Capita.
Aveva ragione Paolo Rossi (Su la testa, 1994): i nostri sogni sono sempre all’incontrario. Riflettono inconsciamente la stoltezza del reale.
Abitando qui non è strano. Fossimo svedesi, fossimo tedeschi, fossimo austriaci, ma siamo italiani. È normale, ragazzi.
Vi sbattiamo subito in faccia la prova. Pif con il controfestival di San Romolo. Nessuno ne ha parlato mai (mea culpa, noi compresi). Ma sì, quella striscettina di un quarto d’ora prima della cerimonia funebre. Non è stata cosa delizio?
Pif ha colto tutte le sfumature del mondo sanremese invisibile con l’arte semplice di un clown.
Come non innamorarsi della signora di 105 anni? O del povero Agus, da trent’anni costretto a bivaccare fuori dalla baldoria? Costi minimi, resa massima. L’altro, il Sanremo, 20 milioni stracciati davanti allo spettacolo triste dello spending review e perlopiù insopportabile. Da noi funziona così.
Avremmo dovuto esaltarci con la grande bellezza, invocata e promessa.
Ligabue che brutalizza De André (ha riparato ieri sera con la roba sua), gli orribili calzari-palaf itta di Ferreri, Arisa e Littizzetto, quel pasticcio di melanzane in testa a Noemi, i completi rinsecchiti di Fazio, i sacchi di juta griffati della Lucianina, gli scempi di certi vocalist con gli altrui capolavori (nella serata karaoke, per capirci), l’autogol della torinese nel saccente monologo sul bello della diversità con la richiesta in Eurovisione di assoldare i down per gli spot della Barilla e della Ferrero (che ceda lei il testimonial della Coop, no?), i musici ingabbiati come gibboni, una delle più inguardabili scenografie di sempre, l’ostinazione nel voler onorare il sessantennio Rai con un’esagerata esposizione geriatrica e... basta, non siamo riusciti a piazzare nemmeno un punto e ci manca il fiato.
Crozza è tornato. Ce l’ha con l’Europa che ci svilisce. Dove sta il problema?
«Ci considerano i cugini scemi, la chiusa comica delle barzellette». È mai uscito di casa Crozza in questi ultimi anni? Sì, dice, ma noi abbiamo inventato Giotto, il Rinascimento, il pianoforte, le note, la partitura musicale, il computer, il fagotto, Goethe si è liquefatto davanti alla magnificenza dell’arte nostrana, Colombo ha saltellato sull’appena scoperta America, a Genova già nel 400 l’unione di fatto era prassi.
Crozza, è tutto finito. Se ne faccia una sacrosanta ragione. E non basta «un’aggiustatina al disastro», purtroppo.
Dura, caro amico, rimuovere i raggiri, gli inciuci, la follia di Equitalia, il debito pubblico, i parlamentari dai loro scanni lussuosi, un Quirinale che costa qualche trilione in più della Casa Bianca, la nevrastenia della politica, le truffe, le condanne ai deboli e la libertà ai potenti, la malsanità, la democrazia apparente.
Ecco. Ma adesso l’impellenza è tutt’altra. Chi presenterà il Festival di Sanremo nel 2015?
C’è chi parla un gran bene di un certo Renzi.

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