MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Com'è triste il Sanremo della crisi (Ma si balla con Gualazzi e con Palma)

In mancanza d’altro, si vorrebbe che desse speranza almeno la metafora canzonettistica, e che il Festival di Sanremo ci sciorinasse un’infilata di brani non fumosi quanto le proposte di legge elettorale. Ma dal gentile ascolto che il Letta de noantri, Fabio Fazio, ha offerto ieri in Rai a Milano con la sua Commissione Artistica di Menti Vivaci, esce un panorama alquanto moscio come idee e novità: segnale sicuro che non ci si sente ancora in uscita dalla crisi, anzi ci si naviga dentro fino al collo, la si percepisce strangolante come ci fa capire certa pesante banalità di testi e melodie, e il ricorrente riferimento a stili e modalità degli Anni Cinquanta sanremesi. La Commissione artistica giura che sono brani scelti con l’ottica del futuro, non da vendere, che tanto Sanremo non si vende più (lo dice anche una ricerca di Rockol.it), ma per farsi ascoltare in radio. Sarà. Da questa parte del tavolo, la rumorosa pattuglia dei critici appare perplessa: ma è anche vero che abbiamo delle colpe, dovendo votare uno dei due brani in gara per ciascun cantante come da formula Fazio, l’anno scorso abbiamo mediamente scelto i peggiori, tanto che il patron ci raccomanda ora «un ascolto non superficiale» per non contribuire ad ammosciare il soufflé. Poi, l’anno prossimo, se arriva Lucio Presta (come si dice) a fare il patron, si riprenderà con l’eliminazione del cantante (magari anche fisica, sul palco, che fa più audience) e tanti saluti a questa regola rispettosa che non elimina dalla gara.

In tema di Anni ‘50, la più chic è senz’altro Arisa, misurata in «Lentamente» dell’ottima Cristina Donà, che rivisita elegantemente quel mondo: qui l’amore ha risvolti metaforici pesanti («Questa vita lascia i lividi»). Sono deliziosamente vintage pure i brani di Antonella Ruggiero che vola eterea in misurati gorgheggi, cantando di una coppia consolidata che si reinnamora ogni giorno.

Preparatevi. Da rallegrarsi a Sanremo ci sarà ben poco, da ballare quasi niente. C’è una «Sing in the rain» di Ron, ballad ritmica con fischiettini ma messaggio fatale («ci sarà sempre qualcuno che ci tradirà»), lontana dalle sue cose migliori; ci sono i freschi torinesi Perturbazione che tirano su il morale con un pop subito riconoscibile, cantando la ricerca della donna ideale e la vita da bar («Se la gente s’incazza scenderemo in piazza oppure a far ri-colazione»). Stupirà Raphael Gualazzi con la tiratissima «Liberi o no», pura trascinante discoteca ‘80, grazie ai techno Bloody Beetrots. Si balla anche con Giuliano Palma, firmato Zilli (si sente subito): una lieta uscita vintage dalla dimensione indie.

Il tanto sospirato (da Fazio) rap, arriva in ragamuffin con il prode Frankie Hi-NRG e «Pedala» è già la canzone del Festival: la metafora ci suona subito familiare («Pedala, l’hai voluta tu la bicicletta»); nel secondo brano Frankie canta anche un po’, e ricorda curiosamente Jovanotti. Fa venire invece in mente Hollande, con la storia di furtivi e corroboranti incontri d’albergo, la canzone più significativa di Francesco Renga, «Vivendo adesso» scritta da Elisa: lui è davvero un bravo interprete, con poco repertorio. Strepitoso il recitativo di Cristiano De André con ritornello in genovese su «Invisibili», che ricorda due caratteri di gioventù. Musica di parola, poco amata ormai dal popolo.

Francesco Sarcina, già Vibrazioni, ripete quel suo sound, schitarrate rock, voce accorata. Renzo Rubino è più convincente (non difficile) che nel 2013, con due pezzi, uno di pronta presa e uno cabarettistico. Noemi fa esperimenti, un po’ sottotono, Sinigallia ripete bene il suo adusato stile. Di Giusi Ferreri non s’è potuto ascoltare il materiale, ché poverina ha il padre che sta male. Ci sarà tempo. Le canzoni, sempre, debbono essere riascoltate, pena le peggio gaffes (per noi).


Marinella Venegoni
www.lastampa.it