MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Riscoperta di Luca Carboni a Bologna (con un sano elogio alla timidezza)

Una bella festa con un cast che, se ce lo avesse Fazio a Sanremo 2014, si leccherebbe le ginocchia. Però non è stata una festa per tutti, ma solo per i 4 mila del Paladozza, anche se urlanti come fossero il triplo. Una festa non baciata da una diretta tv come sarebbe parso logico, visto l’allegro spessore dell’insieme; e chissà se ci sarà una differita su qualche network, o un DVD (il che pare più probabile) per celebrare la gloria quieta di un timido doc, un bolognese non caciarone e non istrione, uno che intervistarlo è una sofferenza perché parla poco, e per far parlare di sé ci ha messo invece il gusto e lo spartito e testi che risentiti anche dopo tanti anni suonano curiosamente colonna sonora appropriata per un’epoca crepuscolare come la nostra, solo a squarci accarezzata da momenti di allegria.

Luca Carboni ha 51 anni, sta davanti a noi da 30 facendo il minimo glamour, una mosca bianca che abbassa la media del narcisismo del pop. Le sue fortune presenti sono legate al cd «Fisico Politico» uscito qualche settimana fa proprio nella ricorrenza, dove ripassa i propri pezzi (teneri bomboloni del sentimento, aperture imprevedibili di immagini e temi inattesi) con l’aiuto di un pugno di amici del firmamento italiano: da Ron a Curreri, da Mingardi a Samuele Bersani col quale traccia un delizioso elogio degli autobus, da Sinigallia e Alice, da Antonacci ad Elisa, da Tiziano Ferro a Jovanotti che ha alzato la temperatura manco fossimo ai Caraibi, fino a Gianni Morandi che imbracciata la chitarra ha ricordato con «Piazza Grande» Lucio Dalla.

Lui, Luca, stupefatto di tanto affetto, sul palco con la sua band, timido anche al momento di prendersi gli onori meritati. Pure lui una persona silenziosa, di quelle che ha cantato in duetto con Tiziano Ferro, che poi s’è imbarcato in una sorta di stornellata su «Pensieri al tramonto» alzando inopinatamente i toni, come del resto ha fatto Elisa con «Vieni a vivere». Carboni - non lui ma le sue opere - sembra esigere una riproduzione di misura, che si alzi solo quando gli escono a sorpresa pezzi come «Ci vuole un fisico bestiale», che ancora sta lì a troneggiare dopo tanti anni: Jovanotti in berretta fucsia lo ha qui infatti assai ben sostenuto; sarà perché la loro conoscenza è lontana: «Nel ‘92 mi telefonò per propormi un’idea che sembrò a tutti strana, fuori da ogni logica discografico/artistica, una tournée insieme. Io giravo nei club e grazie a lui fu la prima volta per me dentro ai palasport e ho scoperto che mi piaceva parecchio e ho cercato di non smettere più».

Ognuno, su quel palco, aveva qualche merito. Ron, che Luca incontrò proprio qui al Paladozza e gli consigliò di portare un demo da Vito, dove i big che si incontravano a mangiare e bere lo ascoltarono, promuovendolo fra loro; Curreri che fu il suo primo produttore: «Sono stato chierichetto al suo matrimonio», confessa Luca al microfono. Che c’entra Sinigallia? «Ho fatto con lui "Musiche Ribelli", con un omaggio a Claudio Lolli», ed ecco infatti «Ho visto anche degli zingari felici». Qualche canzone Luca se la canta giustamente da solo: «Silvia» che sdoganò storie adolenziali di vite perdute («Silvia lo sai che Luca si buca ancora») e «Inno nazionale», una radiografia ironica e spietata del pianeta Italia. Scorrono saluti di assenti di riguardo, Ligabue e Battiato da Katmandù, in strana coppia con Siusy Blady. E invece dà buca Cremonini, e sarà ancora Antonacci ad assistere Carboni in «Mare mare», con quel fantastico inizio («Ho comprato anche la moto/usata ma tenuta bene»). Bisognerà davvero che Ferdy Salzano, il promoter, usi i propri poteri per far vedere all’Italia intera questo delizioso elogio (in salsa bolognese) alla timidezza di Luca Carboni.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it