MUSICA




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Peter Gabriel rivisita il suo passato con "So" Live


Stasera che sera al Forum di Milano, strapieno e straesaurito da tempo. C’è Peter Gabriel, uno non solo dei più amati, ma anche più stimati artisti della vecchia generazione. Uno che non ha mai fatto un passo falso e nemmeno una marchetta, e che arrivato al bordo della terza età decise di puntare alla rivalutazione del proprio repertorio passato, senza farlo in modo mascherato come quasi tutti, ma apertamente. E ora che gli anni sono 63, nell’ambito del tour «Back to front» iniziato il 9 settembre in Canada, al Forum come unica data italiana va in scena la rivisitazione completa live di «So», album multiplatino che 25 anni fa accese intelligenze e fantasie, più naturalmente alcuni altri suoi gioiellini nell’ultima parte, con probabile chiusura su «Biko», e sicuramente «Shock the Monkey», «No self control», «Solsbury Hill». Tra l’altro, all’uscita del cofanetto per il venticinquennale di «So» l’anno scorso, spuntò un nuovo brano dell’epoca non contenuto nell’originale, «Courage», e Gabriel spiegò di averla finita solo per la reissue, «perché all’epoca non la sentivo nel modo in cui speravo, e decisi di non metterla sul disco». Vabbé, i fans adorano queste chicche, le prendono come regali personali, anche perché lui è uno che di passi inutili non ne ha fatti davvero mai (e comunque in scaletta live finora non s’è vista, un motivo ci sarà).

L’occasione è ghiotta perché sul palco con lui ci saranno alcuni dei musicisti originali della superband che accese all’epoca la scena, mai più riuniti da allora: Toni Levin al basso, David Rhodes alla chitarra, David Sancious alle tastiere e Manu Katche alla batteria. In tutti i campi, il mondo è pieno di gente che non vede l’ora che quelli solidificati e onorati si tolgano dai piedi per fare finalmente altre cose; e loro malgrado la presenza di tali musicisti è una garanzia per l’accuratezza complessiva che sempre il vecchio Peter mette nei suoi progetti, dai quali non si viene mai delusi.

La non-delusione, raro dono nel mondo del riciclo della musica popolare, viene confermata anche dal progetto discografico che l’ex Genesis ha messo sul mercato alla fine di settembre, in un florilegio di iniziative che si sorreggono a vicenda. «And I’ll Scratch Yours» è l’album nel quale alcuni amici cui egli ha reso omaggio nel primo volume «Scratch my back» nel 2010 restituiscono la performance e l’omaggio, piegando ciascuno al proprio stile alcuni dei suoi pezzi più celebri. Dico subito di «Salsbury Hill», che in un’orgia di chitarre distorte e quasi- recitazione Lou Reed conquista come sua, così come ha del resto fatto Bon Iver con una soffusa, sognante «Come talk to me», mentre David Byrne ha "talkinheadizzato" «I don’t remember». Randy Newman sembra divertirsi un sacco con «Big Time», appunto da «So», e gli Arcade Fire non si sono lanciati più di tanto nella rivisitazione di «Games Without Frontiers»; più gabrieleschi gli Elbow in «Mercy Street», mentre Brian Eno fa una «Mother of violence» arrangiata sulla propria pelle. Sull’album, senz’altro pregevole e degno di ascolto, gravano alcune leggende metropolitane anche divertenti: tipo che non tutti gli omaggiati in «Scratch my back» avrebbero gradito la grana della versione dei loro brani di Peter Gabriel, rallentata e con le parole ben scandite, e per questo alcuni si sarebbero defilati dall’invito: fra di essi i Radiohead, forse sconcertati dalla versione minimalista gabrieliana della loro «Street Spirit»; non sono della partita nemmeno David Bowie e Neil Young, mentre sono stati reclutati Feist e Joseph Arthur. Peter Gabriel intendeva in realtà porre proprio l’accento su uno scambio di sensibilità, ma quando si entra nel mondo egotistico degli artisti, tali dinamiche sono all’ordine del giorno. Lui naturalmente tace, signore com’è (e del resto sono casi in cui conviene a tutti stare zitti e andare, sempre showbusiness è).


Marinella Venegoni

www.lastampa.it