MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Festa della Musica: i miei 20 mila dischi alla Biblioteca Musicale di Torino

Ho pensato: meglio dal vivo che dal morto. Mi è sembrato un pensiero allegro, questo dono. Un lascito che parla d’amore universale attraverso l’arte che più si annida nel nostro io bambino, la musica. Ho raccolto tutta la "mercanzia" accumulata per il mio lavoro di critico musicale a La Stampa dall’82 a oggi, e ho deciso di metterla a disposizione fisicamente e online di tutti gli appassionati, gli studiosi e i curiosi che si vorranno intrufolare in un mondo che è stato bellissimo ma che non c’è più. Internet lo sta velocemente cannibalizzando. Chi cominciasse il mio mestiere oggi (ipotesi del terzo tipo, perché sempre meno si critica e sempre più si descrive, e spesso con troppo entusiasmo) avrebbe bisogno per lavorare soltanto di un pc e di un abbonamento a Spotify che gli apra dalla sua iconcina verde pisello il presente, passato e anche futuro di ogni musica.

Ma per me non è stato così, e i ventimila pezzi (ventimila!) che oggi 21 giugno - Giornata Mondiale della Musica - consegnerò simbolicamente attraverso alcuni esemplari alla Città nelle mani del Sindaco Piero Fassino, dell’Assessore alla Cultura Braccialarghe e del Direttore delle Biblioteche torinesi, il gentilissimo Messina, sono stati negli anni oggetti da rigirare fra le mani, da metter sul piatto o nel lettore. Da rimirare, anche, con gioia infantile e qualche volta con dispetto. Sono già a disposizione della Biblioteca Musicale Della Corte, nella bellissima villa della Tesoriera di Corso Francia, i 78 giri, i longplaying, i compact disc che riempivano le pareti di casa. E mille libri, monografici, agiografici, saggi. E anche molte semplici confezioni promozionali degli album che ho sempre tenuto con cura, ai tempi in cui l’uscita di un disco era un momento non solo di mercato ma di orgoglio creativo che coinvolgeva musici, grafici, discografici e signori della promozione. Ce ne sono di bellissimi, immaginifici, dai Pink Floyd a Mina (che in Italia nel campo è ancora la numero 1), da Renato Zero e Jovanotti. Sono tutti segni che identificano le epoche.

Quest’anno celebro con un pizzico di narcisismo la Festa della Musica: per una che fa il mio mestiere, è un po’ come Natale. Ma confesso che tutte quelle casse blu e gialle che si accumulavano in corridoio mi hanno anche fatto venire il mal di cuore, e spesso sono fuggita di casa proprio quando arrivavano gli uomini della Biblioteca, per non dover contemplare la scena. Qualcosa ho tenuto, sempre per amore, o che mi possa servire per il lavoro che ancora svolgo, certo con meno stress rispetto al passato anche se con incomprensibile passione adolescenziale.

Sono molto contenta ora, di questa donazione (c’è anche meno da spolverare) perché consente la costituzione di un patrimonio pubblico molto raro nel nostro Paese, dove le Biblioteche specializzate - se si esclude la Discoteca di Stato a Roma e una privata a Milano - hanno dotazioni quasi esclusivamente di musica classica.

Musica pesante, che deve rimanere, e musica leggera, che evapora. Questa è la distinzione teorica a lungo praticata. Ma la musica popolare ha anticipato e commentato la storia del Novecento, ha dato la colonna sonora a rivolte epocali, ha creato i vati del nostro tempo, ha fatto costume, ha aperto i pensieri, ha insegnato parole agli incolti e ora spesso ispira persino i discorsi alati nelle occasioni ufficiali dei politici. Che usano e gettano, però. E neanche si ricordano poi di commemorare i nostri santini quando se ne vanno. Avete sentito un discorso ufficiale di qualcuno su Jannacci? Invece, Hollande ha commemorato Georges Moustaki.

Nel mare magnum trasferito alla Tesoriera si troverà veramente di tutto. I canzonieri politici e culturali dei Sessanta, le prodezze di Celentano e di Morandi, tutta Mina, tutto Giorgio Gaber e De André, Francesco Guccini naturalmente, il Principe De Gregori, il geniale Battiato, il filosofo Vasco, Ligabue. E i Beatles, gli Stones, il prog italiano e internazionale dei Settanta, i Pink Floyd, tanto Dylan, e Bruce Springsteen che ho seguito dal primo concerto a San Siro nel 1985, la spericolata Madonna fin dai tempi in cui era una ragazza ancora da depilare, gli U2 mille volte incontrati in allegria, fra l’Irlanda, Las Vegas e casa Pavarotti a Modena, fino agli idoli sempre meno duraturi dei Novanta, alla Manu Chao, e degli Anni Zero tipo Strokes. Mi sono accorta, togliendo i dischi dalle pareti, che dal Duemila in poi la fanno da padrone le raccolte, i live, i best. Per questo la musica del Novecento sarà dura a morire (e ora sapete dove trovarla).


Marinella Venegoni

www.lastampa.it