MUSICA




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MUSICA
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E' un'epidemia. Addio a Georges Moustaki, "Lo straniero" che cantava il meticciato


E' un'epidemia, di quelle senza vaccini. Dopo Manzarek, dopo chiunque, se ne va pure Georges Moustaki. Morto a Nizza a 79 anni, anche lui dopo una lunga battaglia contro il cancro. L'autore de "Lo straniero", che nel 1969 fu in Italia un tormentone colto, è stato ricordato anche dal presidente Francese Hollande, come rappresentante di una società meticcia che la sua canzone cantava, e come grande contaminatore di culture.

Ho trovato negli archivi un pezzo che avevo scritto per La Stampa, mi ricordavo di questo concerto al Folkclub di Torino, con anche una rara quanto preziosa intervista. Ve lo ripropongo, per ricordare un grande personaggio ingiustamente conosciuto in Italia per una sola, seppur notevole, canzone.



Così è fatta la musica popolare: ci sono personaggi che hanno lasciato il segno con soli tre minuti di una canzone. Il caso di Georges Moustaki è clamoroso; nel 1969 «Le Météque» («Avec ma gueule de métèque/ de juiferrant, de patre grec...») gli diede popolarità davvero ai quattro angoli del mondo. Negli ultimi due giorni, Moustaki è ritornato in Italia, con due concerti al meritorio Folk Club di Torino, luogo di performances non noiose e rigorose, sconosciuto ai commercianti di fuffa: e in un'atmosfera complice ci ha ricordato che «Le météque» era soltanto uno dei mille episodi che hanno segnato la sua vita di cantautore, poeta, scrittore, attore, pittore e chitarrista di tecnica brillante. Nei suoi suoni riecheggiano la solare tradizione folk greca, i sirtaki e certi lontani mondi orientali. Moustaki ha 67 anni portati con qualche fatica; ma il fisico asciutto e gli occhi pungenti tradiscono un'energia intellettuale indomita. Le storie e le canzoni che canta in concerto raccontano di frequentazioni nobili, con Brassens che fu il suo scopritore o con Jorge Amado che fu suo amico; e di collaborazioni con il sanguigno conterraneo Theodorakis o con Astor Piazzolla («Le tango de demain»). Il pubblico ha cantato sottovoce «Ma solitude», e a lui si è dipinta in volto un'espressione di compiaciuta sorpresa.

In Italia, una efficace traduzione di Bruno Lauzi fece diventare «Le météque» «Lo straniero»: «con questa faccia da straniero sono soltanto un uomo vero...». Per mesi non si ascoltò che quella ballata carica di pathos malinconico, e Moustaki poi si portava dietro un fascino malandrino anche perché, non ancora completamente soggiogati dalla cultura anglosassone, gli italiani sapevano che lui era stato un amore di Edith Piaf, e le aveva regalato il testo di una delle sue canzoni più celebri, «Milord». Che Moustaki sia ricordato solo come l'uomo del «Météque» appare oggi veramente ingeneroso; ma così è andata.

Caro Moustaki, lei si riconosce nella definizione di ebreo errante che era nel suo testo originale in francese?

«Io sono un errante e punto. Ma all'epoca Lauzi mi disse che non c'era una parola in italiano per "métèque", che significa emigrante dai paesi del Sud.

Ora direi che quella parola è una brutta parola; "Lo straniero" era una canzone d'amore e la definizione "métèque" era quasi uno scherzo».

Lei parla molto bene l'italiano. Perché?

«E' per via della balia italiana che mi allevò ad Alessandria d'Egitto dove sono nato. L'italiano è stato la prima lingua che ho imparato, e un po' italiano lo sono davvero perché la mia famiglia veniva da Corfù; il mio vero nome è Giuseppe».

Che cosa ha significato amare Edith Piaf?

«Con lei ho avuto un rapporto d'amore di lavoro di sesso e di allegria. Si chiamava Piaf ma per il resto era una donna. Ho vissuto con lei per un anno».

E' stato un rapporto facile?

«Non conosco donne facili».

Georges Brassens ha segnato il suo esordio come artista.

«Ho scelto il mio nome d'arte in suo onore. L'ho conosciuto a 18 anni ed è stato molto benevolo con me».

Segue la musica di oggi?

«Se mi fa ascoltare Michael Jackson, non ne riconosco neanche la voce».

In Francia dove lei è sempre vissuto c'è una politica di protezione della musica nazionale che ha dato frutti: è l'unico paese in cui le vendite dei dischi non sono crollate.

«Non si può confondere una canzone francese con una canzone in francese, che significa imitazione di altri ma nella mia lingua».

La sua generazione ha regalato personaggi come Leonard Cohen e da noi Gino Paoli e Jannacci.

«Ci sono momenti in cui la terra è buona. I tempi importanti della cultura del Novecento sono stati i '40 e i '50: con i '60 è finito tutto, è arrivato lo stupido rock americano».


Marinella Venegoni

www.lastampa.it