MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
Cristiano De André, un bambino di 50 anni - Le sue guerre in un album intenso


Cristiano De André è un bambino di 50 anni e quattro figli, che mai ha elaborato a fondo la morte di quel padre così impegnativo. Ma dialogando con questo dolore che continua a struggergli l’anima, e proprio con l’idea di costruire qualcosa che «lui»avrebbe potuto approvare, il tormentato cantautore e polistrumentista che dall’adolescenza abbiamo visto sul palco con cotanto papà ha appena inciso un album, «Come in cielo così in guerra», che uscirà il 2 aprile prossimo. Fin dal primo ascolto si rivela l’opera da artista completo. E’ come se Cristiano si fosse tolto la pelle, e fra furore creativo e sincerità disarmante avesse dato veramente fiato ad una poetica finora inespressa, resa più convincente anche dalla prova di interprete.

Erano dodici anni, da «Scaramante», che De André junior non incideva un album. Il tempo lungo rende bene l’idea del tormento interiore, condito da qualche disordine esistenziale, e del sollievo che ora lo permea, alla fine del concerto di debutto del tour l’altra sera al Teatro Verdi di Firenze: primo tempo per il suo album, il secondo per il repertorio di Fabrizio. Cristiano si è sfogato sul palco, ha parlato sedici minuti per dare il tempo ai tecnici di riparare alcuni problemi che affliggevano l’audio: è stato un torrente di confessioni, che tornano poi identiche a fluire al ristorante del dopo teatro, dove parla senza ascoltare né domande né complimenti: «Questo disco viene da un anno passato da solo a scrivere con la paura di non riuscire. Un anno bellissimo, nel quale ho voluto dimostrare quel che avevo promesso a mio padre, che ce l’avrei fatta». Il rimpianto è sempre quello: «Avrei voluto stare con lui, dava un senso alla mia vita. E la mia vita è stata farmi molto male».

«Come in cielo così in guerra» è un titolo molto alla De André. Dentro ci sono tutte le guerre sue, sottolineate da atmosfere sonore assai sorvegliate, cantabili, prodotte con cura e rispetto da Corrado Rustici, in un celebre studio californiano. Pezzi incalzanti come «Non è una favola» (l’inizio: «Lei ha gli occhi del colore dell’asfalto/E non conosce il verbo rallentare»), ballads dolci e potenti sul suo rapporto con Fabrizio o con i figli, come «Sangue del mio sangue» («Noi due che così simili/Stessa rabbia stessa allegria»). I testi si fanno taglienti in «Credici» sulla decadenza della nostra società, dove parla di «lingue golose dei mercati/che per i loro tacchi rialzati/hanno svenduto il paese al peggiore dei medioevi», ma è «Il mio esser buono» il più spietato degli autoritratti: «Il desiderio di un’infanzia/Risolto in un bicchiere tra le mani».

Cristiano sta cercando di venire a patti con la proprio vita. Tumulti, ricordi e speranze lievi accompagnano le sue confessioni nude. «Ingenuo e romantico io non ho paura di questo cercare», aveva cantato poco prima. L’intreccio fra vita privata e produzione artistica è strettissimo. Sul palco e al ristorante, allude ai figli di primo letto: «Mi sono sposato a 24 anni, separato presto, e non ho avuto la possibilità di raccontare la mia famiglia ai miei figli. Hanno vissuto storie di moda e di "Isola dei famosi", non ascoltano la musica del nonno. Io non ce l’ho con l’Isola, ma mi spiace che chi ha talento non si cimenti». E il suo, di papà: «Ha avuto un padre inflessibile, sindaco di Genova, e un fratello megadirigente dell’Eridania. Da loro aveva imparato un rigore terribile, e ha sofferto molto, ma è diventato famoso. Beveva, e pure io ho fatto così, però Erasmo da Rotterdam mi ha spiegato che il confine fra la realtà e la follia può essere spostato dal talento».

Ricorda il rapporto di amicizia di Fabrizio con Grillo: «Sto con Beppe da quando son nato. Anche lui subisce chi si appro fi tta della fragilità degli altri: magari esagera ad attaccare le persone, ma dice cose reali». Escono aneddoti anche gustosi, oggi: «Mio padre era bellissimo, sembrava un avvocato, poi ha cominciato a vestirsi con il maglione, come Guccini. Ai tempi di "Storia di un Impiegato" Cossiga era convinto che fiancheggiasse un gruppo armato. Invece finì per innamorarsi dei suoi rapitori, e dopo che mio nonno aveva sborsato un miliardo per farlo liberare, non voleva costituirsi parte civile». Ricorda: «Bob Dylan era in Italia, e voleva conoscerlo. Ma mio padre disse di no perché non era sicuro dell’interprete. Era la persona più fragile e insicura del mondo, era un grande perché era il carnefice di se stesso».

Dal cielo degli artisti, Fabrizio sarà fiero del suo ragazzo (in realtà lo è sempre stato, lo ricordo benissimo io perché me lo disse). Cristiano vede la luce: «Ho sofferto per fare un bel disco, sono fortunato perché ho avuto un padre che mi ha insegnato ad amar la poesia, a riempirmi di bellezza».

Marinella Venegoni
www.lastampa.it

Cristiano De André - Non è una Favola