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Il meglio e il peggio di Sanremo 2013 - Fra fiamme dell'inferno e stornellate

Il meglio e il peggio di Sanremo 2013 - Fra fiamme dell'inferno e stornellate


di Marinella Venegoni


Benemerito ascolto collettivo, sotto l’occhio attento e raffreddato di Fabio Fazio, in Rai a Milano. Diktat implacabili: un unico passaggio, mentre i testi scottano (più delle fiamme dell’inferno curiosamente evocate da alcuni brani) e vengono subito ritirati da mani ansiose. Sono pronte le ben 28 canzoni (due a testa) dei 14 Big del Sanremone preelettorale in diretta su Raiuno dal 12 al 16 febbraio, con al comando la coppia inossidabile Fazio-Littizzetto e (non si sa in che ruolo) due bellone: Bar Rafaeli ex fidanzata di Di Caprio e Bianca Balti; Fazio ha negato la presenza di Paul McCartney, mentre sono in forse i Muse: «Non vogliamo nomi troppo grandi», ha spiegato in epoca di spending review. Sarà, ha detto, un Festival tutto puntato sulla musica, e dunque «non c’è quel gran problema sulla par condicio». Tutto questo scopriremo solo vivendo, come cantava Battisti, perché Fazio ama le sorprese. Per ora si notano due elementi che attraversano il vasto repertorio: oltre alla già accennata attenzione a questioni ultreterrene e fideistiche, c’è un inevitabile ritorno dell’attenzione al folk (cosa già accaduta in mezzo mondo). Qualità? A tratti copiosa. Molta immaginazione, molti sogni, molte angosce. Testi da tuffarcisi a tratti dentro, se si cercano grane. Ma anche molto repertorio alla sanremese, nel senso più prevedibile del termine.

ADESCATORI DI TELEVOTO

Sono, manco a dirlo, i protagonisti dei Talent-show, in questo Festival under 50 (come svecchiamento, è già tanto), nati alla musica obbedendo a criteri tv più che musicali: il vero peccato originale, del resto anche appannaggio del Sanremone, che essendo un tv show obbedirebbe a regole televisive anche se lo dirigesse Bob Dylan (forse). Annalisa, per cominciare dalla A, ci affronta ma non ci convince né quando va sul patinato ultraclassico, né con i sapori Anni ‘50 di «Scintille». L’attesissima Chiara, fresca vincitrice di X-Factor, si è affidata in un brano ai fratelli Zampaglione, ma il pezzo anche impegnativo è affogato in una valanga di effetti sonori, con urlo obbligatorio; il suo aguardo è rivolto a Mina (che la ama), anche nel secondo pezzo più mosso, «Il futuro che sarà», testo di Bianconi («credo negli angeli ma frequento l’inferno»). Marco Mengoni, dicono, è in evoluzione: ma resta l’impressione di una voce che per quanto notevole bada a se stessa più che all’espressività della canzone. Troppo freddo, e non a suo agio anche in «Bellissimo» di Nannini/Pacifico, poprock virulento da stadi. Talent a parte, anche gli amatissimi Modà sono gente da televoto: due ballads meno urlate e più accurate, sempre di Kekko, ma «Se si potesse non morire» echeggia in modo inquietante «Non è l’inferno» (sempre sua) che ha vinto Sanremo nel ‘12 con Emma.

GLI AUTORI NON DIVERTONO

Qui c’è il top della compagnia. I più pungenti, Elio e le Storie Tese: «Dannati Forever» sfotte la moda dilagante delle fedi («Posso smaltire i peccati con il jogging?») e sollazza con un «Tutti insieme all’inferno/anche il governo/ coi sodomiti i moderati i giornalisti e gli esodati»; «La canzone mononota» è un capolavoro di satira sugli escamotage di scrittura nel mondo del pop. Max Gazzé nel ballonzolante ska «Sotto casa» se la prende con chi bada più ai rituali religiosi che non ai contenuti, mentre la complessa, ironica «I tuoi maledettissimi impegni» farà riflettere tutte le donne superimpegnate. Daniele Silvestri erompe in una stornellata postmoderna in romanesco: «A Bocca chiusa» canta la difficoltà di esprimere il malcontento nel sociale, «Il bisogno di te» è uno ska amarognolo su un amore viziato. Gran ritorno per Simone Cristicchi: «Mi manchi» è un’elegante e delicato pop/folk («Mi manchi come a un bottone l’asola»), poi nella ballata «La prima volta che sono morto» immagina il post-mortem: un posto dove giocare a briscola con Pertini e passeggiare con Charlie Chaplin.

IL MONDO INDIE

Marta sui Tubi, fra i più originali della platea giovanile, si buttano in due maschi e virulenti esempi espressivi del nuovo rock, fra emozione e tecnica («Non soffro se mi sento solo/soffro solo se mi fai sentire dispari»). Gli Almamegretta riuniti con la voce affascinante di Raiz, ricostruiscono una specie di «Ragazzo della via Gluck» in un paese rovinato dal degrado più che dal progresso.

LE CANZONI VERE DEL POP

Poi c’è il pop scritto con coscienza. Forse meno quello di Malika Ayane, più brava del suo autore Sangiorgi a far vivere con eleganza due pezzi tutto sommato banali, «Niente» (il migliore) e «E se poi». Raphael Gualazzi è dedicato autore e interprete di due pezzi musicalmente complessi e gradevoli, già in pole position per una vittoria che avesse un senso. Si difende con onore Simona Molinari accompagnata dal prode Peter Cincotti, fra «Dr.Jekyll e Mr. Hyde» (inedito spumeggiante e swing di Lelio Luttazzi), e la melodia contagiosa di «Felicità». Più tosta Maria Nazionale: dal neomelodico al classico napoletano, è rigorosa fra un Gragnaniello e i Servillo/Mesolella degli Avion Travel.








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