MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Bocelli rivisita sontuosamente il pianobar con Edith Piaf, J.Lo, Nelly Furtado

Distribuito in 75 paesi, cantato in 6 lingue, «Passione» è il nuovo album di Andrea Bocelli che esce il 29 gennaio, 18 anni dopo il primo passo temerario con il quale Caterina Caselli abbracciava il suo progetto della doppia vocalità e lo proponeva con «Il mare calmo della sera» fra i giovani del Sanremo 94. Dopo 80 milioni di dischi venduti, c’è anche il piacere della celebrazione in quest’antologia di 18 canzoni che evoca apertamente il periodo nel quale uno sconosciuto ragazzone faceva pianobar per i locali della Versilia, rallegrando il popolo romantico delle vacanze con gli standard della memoria collettiva del Novecento: ora qui sontuosamente riallineati, con la sontuosissima produzione di David Foster, e interpretati zigzagando fra i misteri della sua vocalità, ché più fusion fra pop e belcanto non si potrebbe.

Un album di certo passatista, e solidamente italiano malgrado il brasileiro o il francese, che butta non più di un’occhiata al mercato italiano per gettarsi invece nella pulsante globalità che ama lui, e qualsiasi cosa canti. Però operazioni come questa finiscono per combattere l’oblio che sta avvolgendo anche il repertorio classico della più elegante musica leggera: chi ascolterebbe più «Perfidia», chi canterebbe «Roma nun fa la stupida», chi ancora conosce la bellissima «Champagne» di Peppino Di Capri, da quanto tempo non sentite «Malafemmena» di Totò. Ma, consigliato da David Foster, uno dei più corteggiati produttori yankee, Bocelli osa poi i duetti: il più temerario con la voce di Edith Piaf su «La vie en rose», i più curiosi (e unici) con Jennifer Lopez che in «Quizas Quizas Quizas» si toglie i lustrini psicologici e diventa persino gradevole, e con Nelly Furtado che lo sorregge con meno sorpresa in «Corcovado».

E se spunta la dimenticatissima «Love in Portofino» dei prodi Chiosso/Buscaglione, è soprattutto perché la scorsa estate Andrea ha tenuto proprio nel porticciolo più famoso del mondo un esclusivissimo concerto sulla risacca, prodotto dall’americana PBS, con orchestra, e danzatori scicchissimi: il lavoro, che dà fiato al più patinato immaginario americano, andrà in onda negli Usa e nelle tv di mezzo mondo, prima di diventare un DVD.

Inutile illudersi. Bocelli guarda al mondo, e non è che poi l’Italia guardi molto a lui. Ma lui è qui, è dei nostri. Da anni si è comprato un ex albergo, villona bellissima, sul lungomare di Forte dei Marmi: dove un giorno Barbra Streisand bussò per chiedergli di duettare («Non è ancora successo, ci abbiamo provato due volte entrambi, ma succederà»). Al mare piovoso d’inverno, ci ha invitati ieri ad ascoltarlo, e palpita nella speranza che l’estate prossima chiudano l’Aurelia almeno la domenica mattina, «per dar spazio alle passeggiate, alle biciclette, ai cavalli». E’ contento di promuovere nell’album sia «Champagne» che «Era già tutto previsto» di Cocciante: «Qui pensiamo siano vecchie, mi piace che suonino come inedite».

Ha accanto la sua Veronica, che lo avvolge nella chioma sulla copertina di «Passione» («Certo che è lei, se non fosse così la serata stasera non finirebbe come deve finire»). C’è aria di famiglia, in casa, fra collaboratori e giornalisti stranieri, con Caterina Caselli e suo figlio Filippo che festeggiano la fine di una saga durata mesi. Ora che tutto sembra così facile, Andrea Bocelli si abbandona, confessa che si sente un uomo dell’800, ricorda la gioventù: «Mi sarei accontentato di un successino poco più che regionale. Imparai queste canzoni per fare il pianobar, fino ad allora amavo l’opera, i miei amici mi prendevano in giro. Oggi il miglioramento del digitale rende più calda la musica, non ho voluto stravolgere nulla». La Lopez? «I miei figli vorrebbero conoscerla, ha grande fascino».

Ne ha per gli italiani: «Abbiamo una virtù che diventa difetto, di pensare sempre con la propria testa. Non riusciamo a stare insieme: di destra o di sinistra, juventini o milanisti, bianchi o neri, ma mai italiani». Dice di non essersi mai voluto spiegare le ragioni del successo planetario: «Ho venduto i primi dischi che già avevo 35 anni», ricorda. E, come a restituire, aggiunge di aver messo in piedi una Fondazione che aiuta i più sfortunati: «Quel che aiuta, è la forza dell’ottimismo».



Marinella Venegoni

www.lastampa.it