MUSICA




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Addio a Ravi Shankar, guru del sitar che influenzò Beatles e Rolling Stones



Diceva di aver sempre cercato l'assoluto nella sua musica e con il suo virtuosismo al sitar ha influenzato jazzisti e gruppi pop del calibro dei Beatles e dei Rolling Stones: con la morte di Ravi Shankar, nato a Varanasi nel 1920, scompare non solo il più importante solista di sitar del mondo, ma anche il primo artista indiano ad aver colmato il gap tra la cultura occidentale e orientale, e incoraggiato l'apprezzamento e la conoscenza della musica indiana in Europa e in America.

Musicista classico, fondatore dell'Orchestra nazionale indiana, Shankar conquista la fama mondiale per la sua amicizia con George Harrison, autore dell'introduzione della sua autobiografia, Raga Mala, pubblicata in italiano per Arcana un anno fa. Ma anche per il concerto per il Bangladesh nel 1971 a cui parteciparono 40.000 persone, prima iniziativa benefica globale del mondo del rock. Da affermato artista internazionale, Shankar poi continua a vivere in India, spostandosi spesso all'estero per registrare dischi ed esibirsi in lunghi tour, concerti e festival.

Curiosamente, però, la sua fama non gli serve a convincere (è successo nel 2007) il management di un hotel indiano a Pune, dove doveva tenere un concerto, a farlo entrare in stanza con il suo cane: Shankar girava il mondo portandosi sempre il fido animaletto in una borsa, dopo che i medici americani gli avevano consigliato la pet therapy per curare i suoi polmoni malati.

Vincitore di tre Grammy, insignito con la Legion d'Onore, Shankar di recente era stato nominato per il Grammy 2013 insieme alla figlia 31enne Anoushka. Invece l'altra figlia, la cantautrice newyorkese Norah Jones, Ravi non l'ha mai voluta riconoscere, riallacciando con lei i rapporti solo dopo che era diventata una star della musica internazionale. «Negli ultimi ultimi i nostri rapporti sono migliorati, anche se escludo una collaborazione musicale» disse Norah, ospite del festival di Sanremo nel 2007.

Un rapporto complicato, quello con la songwriter americana, molto diverso da quello instaurato con George Harrison. I due si conoscono nel 1966 e da quell'incontro nascono una lunga amicizia e una collaborazione da cui scaturisce l'idea del libro autobiografico. «Ravi è sempre visto come un guru e una figura paterna, ma per me è principalmente un amico» scrive Harrison nell'introduzione. E ancora: «Senza di lui non sarei riuscito a entrare così facilmente nell'esperienza indiana». D'altro canto, a sorpresa Shankar rivela: «Devo ammettere che le voci dei Beatles non mi facevano impazzire. Il più delle volte cantavano in falsetto, cosa che da allora è sempre rimasta in voga. Ma molti dei loro pezzi mi piacciono, soprattutto Here Comes the Sun e My Sweet Lord, scritti da George».

http://www.ilmessaggero.it/spettacoli/musica/ravi_shankar_george_harrison_beatles_rolling_stones_sitar/notizie/237615.shtml