MUSICA




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Zucchero all'Avana, canto per 40 mila "La mia revolución è un'icona"



Non capita a tutti di potersi togliere uno sfizio gigante, o di realizzare un sogno di tale portata. Zucchero ha pure sborsato per farlo, importando dall’Italia tutto ciò che serviva. I cubani mai avevano visto una produzione così spettacolare, riempire il parco di palme dell’Istituto Superiore delle Arti nell’elegante quartiere di Miramar, fra i pochi scampati al degrado degli stupendi edifici coloniali. Quartiere di ambasciate e di residenze affondato nel verde, fuori mano e popolato l’altra sera di varia umanità, soprattutto giovanile: le cifre dell’affluenza sono incerte come spesso capita di fronte a folle imponenti, chi dice 40, mentre fonti ufficiali sostengono 70 mila. Ingresso libero, naturalmente. Luci fumi amplificatori super, due maxischermi. Diavolerie strabilianti da musicbusiness per un mondo depresso e poco frequentato dai divi perché in tanti temono un successivo embargo americano.

Il palco era adornato di due enormi drappi rossi con stella dorata, come a incarnare appunto un’idea astratta, un’icona più che una ideologia. Distinzione imprescindibile: «Io non sono nato in Vaticano - ha precisato lui nella notte - ma nell’Emilia rossa, da una famiglia di contadini comunisti ma tutt’altro che mangiapreti. Porto in me l’anima di Don Camillo e di Peppone. E dal concerto che ho tenuto nel 1992 al Cremlino, suonare a Cuba rappresentava il completamento di questa visione del mondo». La «Revolucion» spogliata di ogni detrito deprecabile, con anche una citazione in scena del Che: «Dobbiamo diventare duri, ma senza perdere tenerezza».

Prodromo di cotanto progetto è «La sesion cubana», l’album recente di propri pezzi noti, inediti e cover rivisitati qui con musicisti locali. Sugar stesso incarnava sul palco, in una metamorfosi non priva di ironia, una figura da barbudo d’antan, tutto in kaki con cappelluccio coordinato. Il concertone che gli italiani vedranno su Raidue il prossimo 8 gennaio, è figlio di una visione sentimental/commerciale: la sua musica senza confini, contaminata dal rispettato suono cubano un po’ in ombra da quando il ricordo di Buena Vista ha cominciato a sfumare nelle memorie. Sul palco, 17 musicisti fissi, italiani e cubani. Cinque percussionisti, due batteristi, quattro fiati. Più, a volte, 4 archi, più tre procaci coriste alla «Tropicana», celebre locale dell’Avana per stranieri. La stessa formazione, un po’ ridotta, girerà il mondo nel tour zuccherino che dopo performances internazionali debutterà in Italia con tre concerti all’Arena di Verona: 30 aprile, primo e due 2 maggio. Bisognerà poi vedere quanti cubani torneranno a casa alla fine, e quanti chiederanno asilo a Miami, ma questa è un’altra storia.

I ragazzi cubani ballavano chiacchieravano e vivevano un momento raro. Hanno applaudito poco «Guantanamera» e molto Pavarotti, quando nel finale è apparso per l’esecuzione storica, in duetto, di «Miserere»; applauditissimo anche il pianista classico Fran Fernandez, che ha introdotto il brano con una variazione sull’Ave Maria di Schubert. In scaletta, oltre che il nuovo album, classici del suo repertorio; ma anche una dedica a Lennon nel giorno del suo assassinio, «Spicinfrin Boy», con la citazione di un verso di «Instant Karma», e la brasiliana «Ave Maria no morro», dedicata alla gente di Santiago e della zona Est di Cuba: «L’uragano Sandy ha investito la meravigliosa città di Santiago. Ci sono stati morti e distruzione, ma s’è parlato solo dei danni negli Usa. Chi li aiuta, i cubani? L’embargo è un’assurdità che deve finire», ha detto Sugar. E chissà se sia vero, come si dice, che la tv yankee PBS è interessata ad ospitare il concerto.

«Ho voluto venire qui perché la cultura è ancora un valore. Non c’erano i manifesti ma c’è stato il passaparola, non avrei pensato arrivasse tanta genre», ci ha detto Zucchero nella notte. Ha raccontato di aver incontrato nell’ultima settimana Camillo Guevara, figlio del Che, e la moglie; due figli di Fidel, Alejandro e Toni, il vice di Raoul Castro, Abel Prieto: «Abbiam parlato poco di politica. Mariela Guevara mi ha chiesto di parlare sul palco dei 5 cubani arrestati per spionaggio negli Usa, ma le ho spiegato che non sapevo la storia e non si può sentire una sola campana». A chi ha criticato in Italia la scelta del concerto, come un’iniziativa legata al regime, ha risposto: «L’Italia è un Paese che ama alzare polveroni e cercare polemiche gratuite. Ho cantato per il popolo cubano e basta».

Prossimo sogno di Zucchero, un disco e un grande concerto con Morricone. Se ne parla, è perché si farà.



Marinella Venegoni

www.lastampa.it