MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Amore amaro, fede, filosofia, cosa cantano i big di Sanremo

Alla fine «sono solo parole», come canterà Noemi dandoci (stranamente) sotto con l'ugola, in un giro armonico che fa pensare a Vasco mentre il suo pezzo è in realtà di Fabrizio Moro (e ti sembra questa canzone di averla già sentita, chissà come, chissà dove, forse proprio da lei). Gli scherzi d'autore sono parecchi, dentro l'imperituro Festival di Sanremo che fra un paio di settimane ci spalancherà le braccia, per accogliere e rilanciare la nostra residua voglia di contestazione generale, o più semplicemente regalarci il piacere casalingo del taglia-e-cuci sui 14 big in gara e sul grande baraccone. Canzone d'amore disperata, quella di Noemi. C'è un lui che è sfinente e ne ha sempre una, poi si scopre che è solo pieno di paure ma lei non riesce nemmeno a rassicurarlo.

Più bas tardo dentro, è il maschietto cantato da Nina Zilli in «Per sempre», una canzone alla Mina primi Anni Sessanta, tanto che si aspetta che la Tigre venga a metterci del suo (o ce l'abbia già messo); lui è uno che promette e non mantiene e nega la verità (ricorda qualcuno?), lei alla fine si rende conto che non vale la pena e tanti cari saluti. I tormenti amorosi riempiono la metà giusta dei brani in gara dal 14 febbraio. Sono tormenti tutti femminili: sta male pure Arisa, che ha abbandonato quella sua aria lieve e distratta e stupisce con un pezzo tristissimo dove si sezionano sentimenti negativi e dolori fisici ad essi correlati, dal vomito alla perdita di appetito. Chiara Civello, cantautrice, graziosa militante jazz sconoscita nel pop, in «Al posto del mondo» si fa accompagnare da un bandoneon malandrino per raccontare un innamoramento che cresce a livelli di guardia. I Matia Bazar tornano al sound ovattato delle origini, e con la misurata Silvia Mezzanotte sussurrano «Sei geniale/Nel fare del male».

Due maschietti entrano in tema: e se il dedicato Francesco Renga, anche autore di testo, inanella un'ode alla bellezza che eleva lo spirito («Mentre togli il vestito di fretta non rimane che la meraviglia») quello che si spinge ben oltre è il cantautore defilippiano Pierdavide Carone, cui fa da coautore Lucio Dalla che compare solo nei cori e alla direzione d'orchestra. Dice Lucio che «Nanì» gli ricorda «4-3-43», alias «Gesù Bambino»: in realtà, la voce acerba di Carone recita nella ballad per chitarra un bravo ragazzetto che si è preso una cotta per la donna sbagliata, una che accontenta piuttosto i camionisti: «Dimmi perché tu ami sempre gli altri e io amo solo te». Dopo la lunga pochade delle Olgettine, ci si ripara su terreni da repertorio classico cantautorale. Che Italia racconti questo Sanremo 2012, non è facile dire.

Le pesantissime pene d'amore sono cantate da donne che esibiscono grinta, mentre altre ragazze festivaliere virano sul sociale: Emma la pasionaria per tutte. Con «Non è l'inferno» si fa voce drammatica di un pensionato in difficoltà, padre di un figlio «che a 30 anni teme il sogno di sposarsi». Pura destra sociale, a cura di Kekko dei Modà, l'autore. Più generica Dolcenera, che emergendo dal pop elettronico canta «contro questa eredità/di forma culturale/che da tempo non fa respirare». Irene Fornaciari si butta in un girotondo giocoso firmato Van De Sfroos, declamando la notte, i gatti, i pipistrelli; Gigi D'Alessio ha cucito su misura un'ode alla solitudine e alla rabbia della Berté e del suo caratteraccio: è lei, nella stranissima coppia, l'indubbia e ribalda conduttrice del duetto in «Respirare» (che di D'Alessio non sembra neanche).

Il livello complessivo della gara appare comunque più modesto rispetto all'anno scorso, e non ugualmente disseminato di sorprese. Ma qualche alzata d'ala c'è. Eugenio Finardi affronta il tema della spiritualità in un audace sermone laico che valorizza la sua raffinata vocalità; s'interroga sull'essenza di un Ente supremo, e con «E tu lo chiami Dio» travalica il pop e Sanremo, mescolando chitarre e organo.

All'opposto, il delizioso Samuele Bersani ci provoca con l'originalità della sua vena: segue i salti di «Un pallone» che passa «dalla noia di un prato all'inglese/ a un asfalto che fu Garibaldi a donare», poi gli sfugge una moralità sempre più attuale: «ci vuol coraggio a mantenere la calma adesso». I Marlene Kuntz, bandiere della musica alternativa italiana, arrivano desiderosi di piacere, ma nascondono pure la clava dietro la schiena. In una ballad nervosa spezzata da una tromba malandrina, l'autore e (ottimo) vocalist Cristiano Godano colpisce subito: «La felicità non è impossibile/La stupidità la rende facile...». E viene in mente il bicchiere di vino con un panino, di albanorominiana memoria.



Marinella Venegoni

www.lastampa.it