MUSICA




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Scusate nel 2011 il rock dov’è finito? – di Paolo Giordano

D’accordo, forse non sarà morto come sostengono in molti. Ma di certo è vecchio assai. Oggi, a quasi sessant’anni dalla sua nascita, il rock forse è più attento alla riforma delle pensioni che alle nuove idee. E i risultati si vedono. Anzi non si vedono quasi da nessuna parte, neanche nelle rituali classifiche di dicembre. Badate bene: non quelle qualitative. Ma quelle quantitative. Per capirci: le copie vendute. Pochissime. Vince il pop. Meglio se femminile. Oppure black, sia rap o hip hop o vagamente r&b. Dunque, ecco una classifica per tutte: quella di Billboard, il magazine imperdibile per capire come vanno le cose negli States e quindi, a stretto giro, nel resto del mondo musicalizzato. Tra i cento dischi più venduti nel 2011, i primi rockettari sono gli U2. Al ventiduesimo posto, però. Va bene, non avevano album nuovi. Ma anche chi ce l’ha, come i Bon Jovi, non sta meglio: ventiseiesimi. Peggio ancora i Coldplay, dei quali si è parlato ovunque, anche sui bollettini parrocchiali, ma che non sono riusciti a portare il loro Mylo Xyloto (peraltro uscito solo da un mese e mezzo) più in alto del quarantaduesimo piano. Giusto tra Shakira e Jennifer Lopez e solo un po’ peggio di Linkin’ Park, gente che fino a cinque anni fa faceva piazza pulita. Peggio ancora i Red Hot Chili Peppers, anche loro appena tornati sul mercato ma attualmente schiantati al 95esimo posto, due gradini più in basso di Demi Lovato, anni 19, eroina del pop poppante. Insomma, per farla breve, tra i cento artisti preferiti degli americani non c’è un rockettaro di nuova generazione, ossia sbocciato negli ultimi tempi. Da una parte c’è il meraviglioso gerontocrate Roger Waters, che ha le radici addirittura negli anni Sessanta con i suoi Pink Floyd e su di loro campa ancora (egregiamente o no, dipende dai punti di vista). Dall’altra spuntano i Journey, nati scintillanti negli anni Settanta, esplosi con Don’t stop believin’ in tutto il mondo nell’81 e poi arrivati finora a targhe alterne. Insomma, il pubblico preferisce ricomprarsi per l’ennesima volta un disco dei Beatles (86esimo posto) piuttosto che puntare su qualche giovane. Casomai ce ne fosse qualcuno. Invece vince il pop, tendenza danzereccia, peso specifico quasi zero ma godibile come pochi. Ad esempio: Rihanna (appena passata da Torino e Milano), Lady Gaga e Katy Perry, che sono seconda terza e quarta dell’anno. Un autentico trionfo per Katy Perry, data per morta già nel 2008 dopo il primo singolo I kissed a girl ma tuttora fortissima alla faccia dei soliti sapientoni. E un mezzo infortunio per Lady Gaga, che è uscita a maggio con il pompatissimo Born this way ed è stata ovunque per sei mesi, forse la più spaventosa campagna promozionale della storia del pop. In ogni caso, tutti saranno d’accordo sul nome che domina la classifica americana del 2011: Adele. Il suo disco 21 ha piazzato 13 milioni di copie nel mondo, un’enormità ormai, più di chiunque altro in circolazione almeno quest’anno. E quasi nessuno ha osato criticarla, se non altro perché c’è poco da criticare: ha una grande voce, ottimo repertorio e non è neppure una di quelle lolite che calamitano gli occhi più che le orecchie del pubblico. Vince lei, che è il calimero del pop. Il primo uomo nella top ten è il minuscolo Lil’ Wayne, rapper che piazza una parolaccia per rima, quasi un record. E – oltre al volatile Bruno Mars, definito il nuovo Michael Jackson con un criminale eccesso di ottimismo – gli altri due maschi sono Justin Bieber, diciassettenne, e Chris Brown, attore popstar solitamente destinato a evaporare al secondo ascolto, massimo terzo. Un riempipista, per dirla tutta. Perciò come sempre per ogni classifica, c’è chi vince, chi pareggia e uno solo che perde davvero: il rock vecchio stile. E perderà per un bel po’ perché è invecchiato e gli eredi uno stile nuovo non ce l’hanno neppure, pensate

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