MUSICA




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Quando Vasco era soltanto "una testa di Zocca" - Al Lido di Venezia un documentario sul rocker

«Noi siamo i soliti, quelli così. Siamo i difficili, fatti così. Noi siamo quelli delle illusioni, delle grandi passioni. Noi siamo quelli che vedete qui». Ma non è il solito Vasco Rossi quello che emerge dal bel documentario Questa storia qua di Alessandro Paris e Sibylle Righetti presentato ieri fuori concorso alla Mostra e in contemporanea in 200 sale prima dell’uscita mercoledì nei cinema.
Perché è la storia del numero uno del rock italiano (il singolo I soliti che chiude il film è già primo su iTunes) quando ancora non aveva inciso un disco. Un viaggio a ritroso nel tempo tutto incentrato sul luogo dove è nato nel 1952 (3,8 chili di peso) e cresciuto: Zocca in provincia di Modena, con «gli umori, gli odori e la gente che popolava quello che noi chiamiamo il paesello natio», scrive il rocker nel suo colloquio quotidiano con i fan su Facebook. I parenti (la morte del padre camionista), gli amici (il musicista Massimo Riva, «il fratello minore» morto per droga nel 1999), il primo gruppo a quattordici anni dal nome anglofono Little boys subito trasformatosi nel più incisivo Killers. Ma anche il Vasco più intimo e inedito raccontato sia dalla sua stessa voce fuori campo che da foto e immagini in larga parte inedite. Filmati in Super 8, Vhs amatoriali in cui lo vediamo scherzare a fare cinema con cortometraggi muti girati insieme agli amici di una vita. Il successo con le ragazze, la serietà e la disciplina inaspettate quando impara a suonare la chitarra o gioca in famiglia con le canzoni rimproverando i più distratti. Il successo a otto anni al concorso canterino L’usignolo d’oro in una Modena «che mi sembrava New York, lì ho avuto il mio primo incontro con il mondo della stampa. Un giornalista scrisse che avevo imparato a cantare portando le pecore al pascolo. Ma io non avevo mai visto una pecora...».

Momenti privati, preziosi, commoventi come quando, ragazzino, fa un’innocente lotta con altri amici in mutande con il suo sorriso più vero e più bello. Lo stesso che torna nelle immagini di questo doc prodotto da Nicola Giuliano e Francesca Cima e a cui Vasco ha dato ieri l’imprimatur finale con un messaggio dalla clinica di Villalba in cui è stato nuovamente ricoverato martedì scorso, dopo i 30 giorni di luglio, per «terapie di routine» nella cura d’un batterio: «Eccomi qua, sul tappeto rosso di Venezia, per assistere con voi alla visione di questo film molto poetico. Io l’ho già visto e mi sono commosso. “Post fata resurgo” è il simbolo della fondazione di Zocca (e quante volte io proprio dai fallimenti ho preso la forza)». Ma l’operazione dei due giovani registi di Questa storia qua non è agiografica come l’altro doc presentato ieri, Pivano Blues di Teresa Marchesi, sulla scrittrice che ha portato in Italia tutta la migliore letteratura americana del ’900. Perché la vita del rocker di Zocca è stata segnata da una presenza ingombrante, la droga. «Vasco non è un “anticonformista” ma è sempre stato un “non conformista” in tutto.

L’unica concessione al conformismo è stato il suo rapporto con la cocaina», dice Angelo Righetti, lo psichiatra («Una vera testa di Zocca» dice di lui l’amico Vasco). Oggi Vasco nel suo solito post giornaliero su Facebook se la prende con Giovanardi e il suo spot contro la marijuana contestando il fatto che questa sostanza «ti uccide». Anche se nel suo nuovo singolo I soliti il ritornello recita così: «Abbiamo frequentato delle pericolose abitudini e siamo vivi quasi per miracolo».



Pedro Armocida

www.ilgiornale.it