MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Take That, la favola pop di un'adolescenza infinita

San Siro, fan scatenati per la reunion dei cinque ex ragazzi
Lustrini Anni 80, tecnologia
di oggi e persino l'inno d'Italia


Vogliono incarnare il mito dell’eterna giovinezza, così gagliardi e spudoratamente spettacolari, in uno show di mostruosa grandiosità, i Take That che ieri sera a San Siro (un immenso gineceo, tra l’altro), per il loro unico concerto italiano, sono arrivati nella formazione completa, Robbie Williams compreso, per la prima volta dopo 16 anni, rinforzati dai supporter di lusso Pet Shop Boys. Dance colorata, tastiere a manetta, impasti vocali, effetti speciali. Pareti d’acqua, piattaforme mobili, alberi danzanti, canzoni a testa in giù, danzatori e acrobati. Una festa dell’immaginario, puro showbusiness Anni ‘80 rivisitato con la tecnologia di oggi, all’ombra di uno smisurato robot dal quale scivolano giù festosamente, aprendo con Rule the World e Greatest Day, i quattro che non diventarono Robbie, per una prima parte soltanto loro: il Robbie arriverà soltanto dopo, presentato con entusiasmo dai compagni, a bordo di un sommesso carro di vetro.

E’ tutto divertimento, una messa in scena lieta e miliardaria, un gioco sincero che non potrà durare più di due mesi come ha imposto Williams («altrimenti, sbarello»). Lui ha dettato i tempi, sua è la parte centrale dello show, con i successi personali come Angels e Let Me Entertain You, in attesa che l’intera formazione si riunisca a celebrare la saga della boyband, ora menband ormai: Pray, Relight My Fire, Back for Good, Never Forget. Delirio puro, intorno.

Hai un bel dire Public Enemy e Cypress Hill, storia dell’hip-hop che staziona contemporaneamente a loro all’Arena milanese; puoi pure menzionare i viziatelli Strokes di stanza invece a Vigevano, oppure il vecchio Santana che pennella a Umbria Jazz. Nella notte più pazzamente affollata dell’estate pop italiana, ieri sera, «il» concerto è stato quello dei Take That: una sorta di presa di potere ludica (l’unica possibile, per ora) da parte della generazione che sta intorno ai trent’anni, e che riempiva per lo più al femminile i circa 50 mila posti di un San Siro esplodente, per ritrovare al completo questi fratelli maggiori, ora intorno ai 40 (tranne Robbie, enfant gaté con i suoi 36).

Ragazzi e ragazze ancora per tanto tempo, svegliandosi ieri mattina e infilandosi distrattamente le braghe, si sono accorti all’improvviso di essere un po’ meno giovani, perché stavano preparandosi all’incontro con la nostalgia dell’adolescenza: ai sogni inconsulti di quando, poco più che bambini e in un mondo completamente diverso, si spartivano senza facebook il tifo fra Gary Barlow, Mark Owen, Jason Orange, Howard Donald e Robbie Williams non il più simpatico ma certo il più strambo della boyband propotipo nata (sì, già accadeva nei primi Novanta) a tavolino per imitare il format degli yankees New Kids on The Block.

Rimarrà famosa quella foto d’epoca, circa ‘92, nella quale i Cinque apparivano più che seminudi, di schiena, natiche di fuori, in scarponi e boxer striminziti sui quali si leggeva a sillabe «Take That». Erano ragazzini carini, soprattutto Orange e Donald, che venivano da una formazione di breakdance ed erano stati messi lì soprattutto perché belli, carne da macello per le fans pronte a tutto, testa piena di idee disinvolte per allora ma pudiche per oggi. Loro, i Cinque, la band rivelatasi poi (ma solo in Europa) più di successo dopo i Beatles - e con soli sei anni di storia, dal ‘90 al ‘96 - non ci avevano messo poco a sfondare.

Gary Barlow già componeva e sembrava il personaggio più affidabile; Williams aveva avuto qualche esperienza artistica ma di tutti era l’oggetto misterioso; Mark Owen aveva scritto «calciatore» nel curriculum. Nigel Martin Smith, il produttore alla ricerca del colpaccio, li aveva messi insieme con l’ottica dell’entomologo. Si fecero le ossa nei club gay (il sospetto ha perseguitato Robbie fino alla vigilia delle recenti nozze), ma solo nel ‘92 piazzarono un hit, che era tra l’altro una cover, It Only Take a Minute, dei Tavares. Da lì, 4 anni di esagerazioni spettacolari, fino al disagio sempre più evidente di Robbie e al suo abbandono, nel ‘95. L’anno dopo, addio anche degli altri, a ricordi già troppo pesanti da sopportare.

Nel 2005, mentre la stella di Robbie brillava solitaria e nevrotica, il colpaccio della reunion, senza il fratello più fortunato. La macchina del successo si è rimessa lentamente in moto, e dopo il successo del secondo album della nuova era The Circus è ricominciato il riavvicinamento di Robbie, con la rentrée trionfale in Progress e poi in questo tour. Decisamente, i fans dei Take That ieri sera hanno rivissuto una favola dell’adolescenza (e da adesso, vada come deve andare).


Marinella Venegoni
www.lastampa.it

Take That - Back for Good - Live @ Stadio San Siro - Milano - 12-07-2011

Take That - Back for Good - Live @ Stadio San Siro - Milano - 12-07-2011