MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Milly, il cofanetto di una diva vera amata dal Re, amava il cabaret

Di lei, di Milly, cantante straordinaria, brillante attrice, soubrette audace, si sono sempre sussurrate certe storie maliziose, che ne hanno accompagnato la vita segnandola della curiosità pudibonda d’un tempo nel quale la morale era stata di ferro (ma in superficie, certo, perché poi la realtà si piegava docile alle voglie segrete dei desideri). Perfino Fellini ne riprese con una nota di delicata complicità la memoria, rivisitandola nello sfuggente siparietto della visita che un misterioso principe (tutti però sapevano che di Umberto II si trattava) fa alla cantante mentre lei, timidamente invitante, ne attende sotto le lenzuola la regale prestazione. Ma è stato quello - nelle fantasie ipocrite d’una iconografia di consumo -il prezzo che uno spirito libero, un’audace femminilità, una superba indifferenza, dovevano pagare alle leggi del tempo; e Milly, in quella sua prima biografia senza pentimenti che passa per teatri e cinema tra gli anni Trenta e i Cinquanta, pagò il prezzo con trascuratezza altera.
Però poi ci fu anche una seconda biografia, e la ritroviamo oggi in un bellissimo cofanetto di due album curato con autentico amore da Pippo Crivelli, che le fu accanto come regista e come amico negli spettacoli che le diedero una nuova giovinezza, dopo il suo recital al Gerolamo nel ’63 e la straordinaria reinvenzione brechtiana nel ruolo di quella Jenny delle Spelonche che Strehler e Grassi le avevano disegnato addosso. E sono ottanta canzoni senza tempo, ottanta splendide interpretazioni dove Brecht sta accanto a Prévert, Franco Fortini ai canti popolari della Bassa Padana, Armando Gill accanto a Bovio e Satie, e poi Fo, Endrigo, De Andrè, Tenco, Mascheroni e Trenet, Bixio e Lauzi, Piazzola, e Della Mea e Theodorakis e Moustaki e Pogliotti e Califano e Jona.

Oggi che i modelli dell’industria culturale si propongono in una serialità sempre uguale, noiosamente uguale, recuperare con questo cofanetto la storia d’interprete di Milly vuol dire anche aprire al fascino d’una dimensione inesplorata il percorso della musica di scena.

Ascoltando le vecchie registrazioni (e i loro fruscii, e gli applausi che accompagnano il recital), la voce duttile e scura della cantante, l’impasto delle sonorità, la qualità della interpretazione, vengono trasportati in un luogo dove tradizione e originalità, mestiere e improvvisazione, recita e anima, creano uno spazio teatrale aperto a mille suggestioni, ricco di rimandi culturali, di sottolineature raffinate, anche del rimpianto d’un mestiere che la volgarità di molta televisione ha prosciugato e impoverito d’ogni spessore.

A riascoltare questo racconto musicale che va dalla rivista al varietà, dall’opera alla canzone d’autore, dal caffè concerto al cabaret, non soltanto si apprezza la qualità espressiva d’una voce cui il tempo ha dato vibrazioni e chiaroscuri interessanti, ma si scopre come la maturità artistica consenta alla Milly interpretazioni modulate lungo registri inusuali, dallo straniamento all’ironia alla passione civile. "L’uomo è fumator" canta Milly con divertite allusioni, e si ripete poi sprezzante in "Si fa ma non si dice", e però ecco che subito arriva l’intensa felicità espressiva di "Moon of Alabama", e se c’è maliziosa la domanda "T’ha detto niente la tua mammina?" ecco che Vian la porta nel destino ribelle de "Le déserteur", e un celeste "Cantico dei cantici" apre alla malinconia metropolitana di "Via Broletto", e la "Vipera" d’una antica storia di passione si allunga poi alla introspezione del "Ricordo di Cesare Pavese". Ne viene non soltanto il ritratto d’una artista indimenticabile ma anche uno spaccato raro della ricchezza musicale che ha accompagnato mezzo secolo di spartiti teatrali e cabarettistici di alta qualità.



Marinella Venegoni

www.lastampa.it

Milly - Mon Homme

Milly - Mon Homme