MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Morire da critici? Fegiz non vuole e si lancia in un four-men-show

Travaglio riempie i teatri, il direttore di Jam Enzo Guaitamacchi pare più occupato in serate affabulatorie sui miti del rock che nella redazione del suo mensile, Massimo Del Papa mio amicone ha fatto un tour con Benvegnù, e ora ha altri progetti del genere (vero, Max?). Insomma, il giornalismo si allontana dalle redazioni dove l'aria è un po' pesante, e se Travaglio va anche in tv, sono i cultori e narratori della musica popolare quelli più tentati da palcoscenici e teatri: dove ripercorrere storie ed esperienze accumulate in carriera, in una sorta di liberatoria seduta psicanalitica coram populo.
Una volta la moglie di Gino Castaldo andò all'anagrafe a Roma e, richiesta del mestiere del marito, disse "Critico musicale"; l'impiegato ribatté: "Ma chi è, Mario Luzzatto Fegiz?". Mario Luzzatto Fegiz, essendo così popolare, può permettersi di andare pure lui on the road, con una pièce che ha più ambizioni e mire, non autocelebrativa ma divertente.
Mario, per chi lo conosce bene, è tante cose: una persona ironica, dotata di una spietata autocritica che gli fa digerire senza ribattere il ricordo di alcune sue celebri gaffes; un bon vivant e un lettore accanito, un ottimo imitatore, un appassionato d'opera, nonché uno che conosce a memoria praticamente tutto l'Inferno di Dante, rimasto intatto nella sua mente malgrado i 4 mila concerti visti . E' anche un vanesio, ovviamente, ché sennò non si butterebbe in un simile guaio.
Con l'aiuto di Giulio Nannini, Fegiz ha come ricomposto la propria personalità ad uso del palco, e giovedì sera ha tenuto una prova generale aperta al Folk Club di Torino di uno show ancora bisognoso di rodaggio ma curioso, simpatico, dal titolo un po' depistante: "Bianco o nero, la musica fra logos e mito". Dove si parte con la musica del Tannhauser di Wagner ma subito si approda su territori più rassicuranti. I ricordi, di come fu preso a Per Voi Giovani in radio nei Sessanta, per il suo aspetto da bravo ragazzo; e poi gli incontri che quel programma fortunato generò, primo fra tutti Lucio Battisti (che Arbore non volle al suo programma, confida Mario: ma lui, sì) trascinato in giro dalla promozione dello scopritore Mogol.
La formula procede per capitoli, alleggerita dagli interventi del chitarrista e cantautore Roberto Santoro, dal gigantesco fisarmonicista virtuoso ucraino Vladimir Dessinenkov che somiglia un po' a Zucchero, e perfino da Beppe Carletti, storico fondatore dei Nomadi, qui impegnato in un racconto piano, e poi pure lui brevemente alla fisarmonica.
Irresistibile Fegiz quando imita Mike Bongiorno, come si scandalizzerebbe ora per il furto della propria salma; e quando recita brani dell'Inferno, sembra lo scolaro che non è morto in lui, fiero della memoria così ben conservata ("Benigni legge", precisa dal palco poi). E aneddoti, e teorizzazioni, e che cosa gli disse Spadolini quando lo assunse al Corsera (imita bene pure Spadolini): il tutto condito da una sorridente ironia, con la lievità seria che è dote dell'intelligenza.
Snobbata dai giornali dove non si riesce più a recensire un disco, tenuta lontana dalla tv dove la legge richiede soltanto giudizi positivi, la critica storica si prende nuovi spazi tesaurizzando il patrimonio inalienabile dei ricordi (altri più masochisti si accontentano di farsi massacrare sui blog).

Marinella Venegoni
www.lastampa.it