MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
A tutti buona fine degli Anni Zero (e sì, ecco la mia classifica dei best) - di Marinella Venegoni

Elenchi ormai improponibili ma tant'è, ognuno si faccia il suo




Classifica dei dischi più significativi degli Anni Zero

1. Radiohead: In Rainbows (2008)

2. Bob Dylan: Modern Times (2006)

3. Wilco: Yankee Hotel Foxtrot (2002)

4. Coldplay: A Rush of Blood to the Head (2002)

5. Jovanotti: Safari (2008)

6. White Stripes: Elephant (2003)

7. Baustelle: Amen (2008)

8. Amy Winehouse: Back to Black (2006)

9. Carmen Consoli: Eva contro Eva (2006)

10.MGMT: Oracular Spectacular (2007)

*************************************

Le classifiche, di questi tempi, sono puro capriccio. Il consumo si è frantumato, sminuzzate le tribù degli ascolti, centuplicati i materiali da ascoltare: è scomparso insomma un denominatore comune fra la musica popolare come la si ascoltava all'inizio degli Anni Zero, e come la si ascolta oggi. Un decennio che vale un secolo. E tuttavia caposaldi rimangono, non a caso spesso non di massa. La forza più dirompente resta ancora dei Radiohead, che dopo aver ridisegnato la contemporaneità fin da «OK Computer» e «Kid A», meritano qui il primo posto con «In Rainbow», non perché migliore degli altri due, ma perché scompagina definitivamente il mercato: la band nel 2008 ne offre a prezzo libero il download in rete, lasciando ai fans anche la scelta di non pagare affatto.

Il vecchio padre Dylan ha ritrovato una verve sulla quale nessuno avrebbe più scommesso: fra i suoi lavori degli Zero spicca «Modern Times», per una tenerezza inattesa. Album pervaso da uno spirito forte, con la visione dell'apocalisse prossima ventura che gli fa rispolverare l'impegno: «Workingman's Blues #2» è la sua canzone più politica da molto tempo, un blues del lavoratore dove canta i problemi della globalizzazione («Il potere d'acquisto del proletariato è sceso/Il denaro è diventato debole e volatile... dicono che le paghe basse sono d'obbligo/se si vuol competere con l'estero»).

Nel calderone dell'imperdibile finisce un gruppo di nicchia come i Wilco da Chicago con «Yankee Hotel Foxtrot» del 2002, rivisitazione delle radici americane che colpisce spesso con quattro accordi sporcati da rumoristica, pezzi lunghi, e una soffice preghiera al rovescio, «Jesus, Etc» («Gesù non piangere/puoi appoggiarti a me, tesoro/puoi fare tutto ciò che vuoi/Io sarò qui»). Gli yankee ancora la fanno da padroni, nel campo, ma l'attesa quasi messianica dei successori degli U2 punta sull'Inghilterra con i discontinui Coldplay: «A Rush of Blood to the Head» è l'album che li consacra nel 2002, fra ballate evocative, coralità e magnetismo di Chris Martin, troppo buono, bello e virtuoso per essere vero. Un altro gruppo notevole ma penalizzato dall'eclettismo del suo mago, Jack White, è quello dei White Stripe (conosciuti per il «po-po-po-po-po-po» di «Seven Nation Army», colonna sonora ai Mondiali del 2006); «Elephant» riesce con pochi mezzi, strumenti, e tecnica, a trasferire all'audience contemporanea l'interesse per la tradizione migliore del rock&blues. Con leggerezza, e ambizione.

In casa nostra, Jovanotti diventa adulto, e lo prova in «Safari», con il romanticismo di «A te» (accusata di plagio) o un trascinante samba con Sergio Mendes («Punto»): la segnalazione vale anche per l'ottimo tour che ne è uscito, che mostra come idee e letture possano far uscire da liturgie consumate. I Baustelle sono un altro fenomeno di cui andare fieri, e «Amen» è il migliore dei loro figli degli Zero, con un rigore astratto che non maschera la profondità dei temi. La Carmen Consoli di «Eva contro Eva» affonda in radici folk con un coraggio obsoleto, e grinta da cantastorie. Molte altre donne hanno fatto gli Anni Zero: dall'altra parte del muro c'è Amy Winehouse, il cui disco d'esordio «Back to Black» è una rivisitazione esaltante del repertorio dei '50/'60; la voce sporca e completamente innocente ha travolto ogni concorrenza di genere. Infine, con gli MGMT, nipotini dei Flaming Lips, elettronici, frichettoni e psichedelici, arriviamo a una musica da club solo apparentemente modaiola: «Oracular Spectacular» contiene la contagiosa «Time to pretend», dove si fanno a pezzi i poveri di spirito che sbavano per il jetset e i suoi vizietti («Andrò a Parigi, mi farò di eroina e scoperò con le star»).

www.lastampa.it