MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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JOHN LENNON

Un mito di tutti i tempi. Ma anche,
e soprattutto, il re dei Beatles, il gruppo musicale a cui ha dato vita insieme a Paul McCartney. Una band che ha scritto una pagina indimenticabile nella storia della musica ...moderna. John Lennon, il
gra...nde chitarrista e compositore di Liverpool, veniva ucciso a New York, l'8 dicembre del 1980. Una mano assassina, quella del venticinquenne Mark Chapman, esplose contro di lui quattro colpi. Fu l'atto finale della vita del cantante. E l'inizio di un mito che continua a brillare a trent'anni di distanza.

Nato il 9 ottobre del 1940 a Liverpool, John Lennon cominciò a lanciarsi nell'universo della musica da giovanissimo. La sua carriera, ricca di successi, subì una svolta grazie all'incontro con Paul McCartney, la spalla con cui realizzerà i maggiori successi dei Beatles. Era il luglio del 1957. Lennon non aveva ancora compiuto 17 anni. E già suonava con i Quarrymen, un piccolo complesso di cui era il leader. Quando sentì cantare McCartney decise di farlo entrare nella band senza preoccuparsi del rischio di dover condividere con lui la leadership. Fu il primo evento che segnò il loro fortunato sodalizio E che determinò la nascita dei Beatles.

Un anno dopo al gruppo, che si chiamava ancora Quarrymen, si unì George Harrison. Nel 1960 fu un compagno di John Lennon, all'Art College, lo scozzese Stuart "Stu" Sutcliffe, a divenire il bassista dei Quarrymen. Il complesso cambiò nome: nacquero, così, i Beatles.

A firmare i primi successi dei Beatles ci pensò proprio John Lennon. Fu lui a comporre, tra l'altro, "Please Please Me", nata come una ballata lenta, ma poi accelerata per renderla più commerciale. Una ballata, piena di sottintesi significati sensuali, colti dai giovani dell'epoca che ne decretarono l'immediato successo. Fu sua anche l'indimenticabile "She Loves You", con il ritornello "yeah yeah" semplice e immediato. La carriera dei Beatles, sotto la regia illuminata di Lennon e McCartney, si chiuse nel 1970, quando la band più famosa del mondo si sciolse. Una delle cause della rottura fu la relazione che Lennon intrecciò con l'artista dell'avanguardia giapponese Yoko Ono. Un legame che seguì il matrimonio con Cynthia Powell dalla quale ebbe il figlio Julian. Alla fine del 1970, John e Yoko pubblicarono i rispettivi album come solisti, entrambi accompagnati dalla formazione della Plastic Ono Band, con Ringo Starr, Klaus Voormann, Billy Preston.

Il ricordo di Carlo Verdone: “Leone mi disse: Lennon è morto”

Il regista romano: "Quel gesto spazzò via ciò che restava dei nostri ideali. Era come se avesse preso fuoco il mio scaffale di dischi e qualcuno mi avesse strappato dal cuore le emozioni più intime"
Quell’otto dicembre del 1980 ero a Cinecittà, felice di aver terminato l’ultimo turno di doppiaggio di Bianco, Rosso e Verdone. Stavo andando al bar quando incrocio Sergio Leone, venuto a controllare il lavoro appena terminato, che mi guarda con un viso strano: “L’hai saputo?”, mi dice con un tono baritonale. “Che devo sapere?”, ribatto già preparandomi a una non buona notizia. “Me sa’ che hai perso n’idolo …”. “Cioè?”. “Hanno sparato a John Lennon. E’ morto. L’ha detto la radio …”.

Ricordo che mi prese un accidente e rimasi immobile, pietrificato. “ Dicono che è stato un pazzo … “. Confuso e demolito nell’anima, andai ugualmente verso il bar ma a metà del vialetto mi fermai e mi misi a sedere sulle scale di marmo dell’edificio della sala mix. Ricordo che scorreva nella mia mente il film della mia adolescenza, dei miei vent’anni, i più belli del mondo. Ero ed eravamo felici perché gli anni 60 e 70, tra mille contraddizioni, avevano degli ideali. E gli ideali portano passioni, creatività, ispirazioni. Portano bei film, bei libri e bella musica. John Lennon era quello che amavo di più per tanti motivi: era l’anima sperimentale dei Beatles, era l’intellettuale, era la voce di una grande personalità sempre giovane, pronta a reinventare e reinventarsi. L’ispirazione creativa azzardata e geniale che stupiva sempre. Per più di un anno non volli più ascoltare nulla di lui e dei Beatles. I dolori veri ti rendono muto e insofferente ai ricordi atroci. Perché l’uomo più pacifico del mondo musicale, l’uomo che aveva scritto il più bell’inno all’amore della storia del rock, “Imagine”, doveva ricevere un proiettile e finire per terra nel sangue come un miserabile? Quel gesto aveva spazzato via, in un secondo, quegli ultimi frammenti di ideali che ci avevano accompagnato per quasi vent’anni. Era come se avesse preso fuoco il mio scaffale di dischi e qualcuno mi avesse strappato dal cuore le emozioni più intime. Avevo visto dal vivo i Beatles e conoscevo a memoria anche i film sperimentali che lui e Yoko Ono ,donna geniale ed amorevole (a torto considerata l’anima disgregatrice dei quattro) avevano realizzato negli anni 70.

Per un uomo che amava stupire e stupirsi, era evidente che non poteva non avvicinarsi ad un’artista che sul piano dell’ arte figurativa rappresentava uno stimolo enorme per Lennon, attratto sempre dal rinnovamento, spesso provocatorio. Ai tanti detrattori superficiali dell’artista giapponese bisognerebbe ricordare che “Jealous Guy”, “Imagine”, “Working Class Hero” furono scritte durante la loro relazione. Tre veri gioielli della sua fantastica creatività. La scorsa estate ho trascorso, insieme a mio figlio, un piacevole pomeriggio con Yoko Ono, grazie ad una nostra amica comune, Stefania Miscetti. Abbiamo parlato del suo lavoro (visto che acquistai un bel quadro che lei dedicò alla memoria di John e che a sua volta, dietro la tela, dedicò a me) e anche di Lennon e del loro “Double Fantasy”. Un gradevole pomeriggio che ,con nostalgia e un pizzico di emozione, ha fatto apparire davanti a me, per alcuni minuti, l’ombra colorata di quel grande artista, unico e immortale.

Di Carlo Verdone

Da Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2010

John Lennon - Jealous Guy

Cronaca dell’8 dicembre 1980

John Lennon, questo lo sanno tutti, è morto oggi. La cosa straordinaria è che l’hanno ammazzato all’apice della propria resurrezione, come pare capiti spesso alle figure che attraversano la storia già stracarichi di simboli. Era New York, Central Park, ed era l’8 dicembre 1980 quando una guardia giurata che viveva alle Hawaii, Mark David Chapman, si appostò davanti all’entrata del Dakota Building - casa Lennon - prima per farsi autografare l’ultimo disco dell’uomo che aveva scritto Imagine, poi per sparargli, circa quattro ore dopo. Erano le 22.50.

Chapman sibilò: «Ehi, mister Lennon, sta per entrare nella storia!». Cinque colpi di pistola, uno di questi attraversò l’aorta, a quel signore con gli occhiali che aveva cambiato, insieme ai Beatles, l’immaginario e la musica di un secolo. John fece ancora un passo o due e mormorò: «Mi hanno sparato». Trasportato dai due poliziotti sulla loro macchina al Roosevelt Hospital, fu dichiarato morto alle 23.09. Il giornalista Alan Weiss era casualmente sul posto. Racconta: «La radio dell’ospedale comiciò a suonare All My Loving. Quando la canzone terminò si sentì qualcuno gridare: era Yoko Ono». John già non c’era più.

Che strano anno, il 1980. Era tornato ad essere un anno in bianconero, dopo almeno due decadi a colori, l’Inghilterra era tinta di scuro, l’America era depressa. Avevano eletto Reagan, impazzava la disco music, le utopie si erano sbiadite. Eppure per John fu un anno felice. Era dal 1975 che non scriveva una nota di musica perché aveva deciso di fare il papà a tempo pieno, a parte qualche piccolo nastro registrato in casa. Poi, improvvisamente, qualcosa cambiò. L’ha raccontato lui stesso. «Ero alle Bermuda a fare un bagno in mare insieme a mio figlio Sean. Di colpo, mentre ero lì in acqua hanno cominciato a venirmi in mente delle melodie».

Probabilmente non è un caso, ma sicuramente è una beffa del destino che una di quelle canzoni dal sen fuggito fosse Just Like Starting Over. «È come se entrambi ci innamorassimo di nuovo / sarà come ricominciare di nuovo». Come ricomincare daccapo. È proprio quello che stava facendo Lennon. Si era lasciato alle spalle, dieci anni prima, i Beatles, poi la lotta impari con il governo americano e con l’Fbi, che per molti anni l’aveva perseguitato - gli avevano negato il passaporto, l’avevano espulso e poi riammesso, circolavano dispacci sulla sua pericolosità da sovversivo comunista o giù di lì - si era lasciato alle spalle un bel po’ di musica, pacifismo, lotte d’amore con Yoko Ono ed un’infinità di speculazioni sulle proprie idee, sul suo impegno politico, sulla possibilità - sempre vagheggiata - di una reunion dei Beatles, sul perché conducesse una vita da recluso di lusso.

L’ORACOLO AFRICANO

D’improvviso, la voglia di ricominciare. Dopo la vacanze alle Bermude (dove, si narra, lui andò per dar retta ad un oracolo africano e dove, peraltro, sopravvisse ad uno spaventoso uragano), nelle sue vene fluivano copiose canzoni piene di malìa beatlesiana, ma senza un grammo di nostalgia: non potresti mai scambiarle per canzoni degli anni sessanta. Roba come Woman, I’m Losing You e Watching the Wheels, oltre alla già citata Just Like Starting Over: oggi sono dei classici. Insieme ai pezzi che aveva composto Yoko, c’era abbastanza materiale per due album. Il primo fu Double Fantasy, uscito nemmeno tre settimane prima delle pistolettate di un «nowhere man» davanti al Dakota. Il secondo avrebbe dovuto essere Milk & Honey.

Yoko si era messa in contatto con il produttore Jack Douglas, a cui furono fatti ascoltare i demo che si erano iniziati a preparare alle Bermuda. L’idea era di realizzare un album in cui le canzoni di John e Yoko si parlassero l’una all’altra. La casa discografica prescelta per realizzare il disco fu la Geffen, appena fondata: anche quello era un segno di rottura, dopo quasi due decadi passate alla Emi, prima con i Beatles e poi da solista. Tra i musicisti furono reclutati Earl Slick alle chitarre, un’immensa sezione fiati, il batterista Andy Newman e il grande Tony Levin al basso, il virtuoso poi entrato nella storia nella penultima incarnazione dei King Crimson e come fedelissimo bassista di Peter Gabriel.

«John venne da me il primo giorno e disse: non ti conosco, ma mi dicono che sei bravo. Solo, non suonare troppe note. Io gli risposi: non ti preoccupare, hai l’uomo giusto». Praticamente, Lennon era stato per mesi in sala di registrazione, proprio come ai tempi dei Beatles. Voleva riconquistare un suono diretto, come quello dei Fab Four degli esordi. Si parlava insistentemente di organizzare un tour mondiale. Quel giorno, l’8 dicembre, John aveva lavorato ad una delle canzoni di Milk & Honey , ossia Walking on Thin Ice. « L’ultima volta che vidi John aveva quel suo incredibile sorriso sulla faccia», racconterà Jack Douglas. «Era elettrizzato, e lo era anche Yoko, perché noi tutti sapevamo di aver fatto un buon lavoro sulla canzone. Lo accompagnai fino all’ascensore e lo salutai augurandogli la buonanotte. Circa 40 minuti dopo la mia ragazza mi raggiunse allo studio, pallidissima. L’hanno appena detto alla radio, disse. Hanno sparato a John». Mark David Chapman, il pazzo, era rimasto sulla scena del crimine. Aveva tirato fuori la copia del Giovane Holden che teneva con sé e si era messo a leggere. Non c’era bisogno di agitarsi. La storia si era già spezzata in due.

Roberto Brunelli

8 dicembre 2010

www.unita.it

Walking On Thin Ice

Walking On Thin Ice


L'ultima intervista (di un giornalista distratto)

I giornalisti sono spesso dei gran casinari. Ma questo Jonathan Cott deve aver diversamente ecceduto se, come racconta nel suo numero di ieri il quindicinale Rolling Stone Usa, ha davvero ritrovato per caso, in fondo a un cassetto che stava mettendo in ordine, l'ultima intervista di John Lennon, perfettamente conservata su nastro. Gli aveva parlato per tre ore il 5 dicembre 1980, tre giorni prima che il santino del rock venisse assassinato per mano del folle Marc Chapman, che ha ora 55 anni e sta marcendo in galera.

Trent'anni son stati, ieri, da quel giorno. Come sempre ricordato da raduni e cerimonie sparse per il mondo, un po' meno di routine per via dell'anniversario tondo: a Liverpool la prima vedova Lennon, Cynthia, con il loro figlio Julian, ha inaugurato un monumento a John in Chavasse Park, nella città piena di turisti che hanno così finalmente trovato il luogo dove simbolicamente sostare; i Beatlesiani d'Italia capitanati da Rolando Giambelli hanno invece preso male il rinvio del Comune di Milano dell'inaugurazione (prevista ieri) del giardino Lennon in piazza Fontana: giardino che naturalmente esiste a New York dall'81, in Central Park davanti al Dakota Building dove l'assassinio ebbe luogo. Lì si sono riuniti in tanti, ieri, a suonare le canzoni di Lennon e a metter fiori a un mosaico a lui dedicato.

Il nostro Cott (di nome e di fatto), di quell'intervista all'epoca aveva dato pochi stralci dopo l'assassinio, sempre a Rolling Stone. Ma nel trentesimo anniversario non ha finalmente dormito sugli allori, e ha consegnato al periodico rock il verbo che ora ci riporta Lennon com'era a quarant'anni: le sue parole in qualche modo raccontano che uomo sarebbe stato da lì in poi, se il destino non ci avesse messo la coda.

Era intanto, John, un uomo consapevole di aver già vissuto a 40 anni la parte magica della sua parabola artistica: perché allora era così, a quell'età non si era (come oggi) promesse ma falliti, se ai 20 non era successo nulla di clamoroso. Si sentiva ormai fuori dal cono di luce, e si capiva che aveva sofferto per questo quando raccontava a Cott: «Dio aiuti Bruce Springsteen (in quella stagione appena scoperto e adorato dal giornalismo musicale, ndr) quando i critici decideranno che non è più un dio... gli gireranno le spalle, e spero che egli sopravviva».

Già, anche John Lennon ce l'aveva con i critici, i cui strali aveva subito dopo l'abbandono dei Beatles e le scelte personali. Riservava loro le parole più dure dell'intervista: «Questi critici che hanno l'illusione di creare gli artisti, sono come idolatri. Quello che vogliono sono eroi morti, come Sid Vicious o James Dean. Non mi interessa essere un eroe morto, per cui lasciali stare», spiegò con un'espressione che oggi ci farebbe rabbrividire.

In generale, Cott ha spiegato che Lennon è uscito dal suo ritrovato nastro in gran forma: «Le sue parole mi sono suonate molto gioiose e vibranti, speranzose e sovversive e senza paura. Non ha risparmiato verità». E chissà se Paul McCartney si morsicherà le labbra pensando a quel giorno in cui ha deciso di anteporre il proprio nome a quello di John nella firma delle canzoni, quando leggerà su Rolling Stone gli affetti dell'antico sodale: «Ho scelto di lavorare in futuro con due persone: Paul McCartney e Yoko Ono. Non è male, come futuro».

Una persona di 40 anni fa, è ovvio, programmi. Dal complesso delle parole del Beatle assassinato, emerge che non sarebbe stato solo di musica il futuro. Rimaneva legato ai temi della pace e dell'amore sulla terra: «Non mi appello alla divinità, né alla purezza dell'anima. Non ho mai sostenuto di avere delle risposte ai temi della vita. Semplicemente, scrivo canzoni e rispondo alle domande il più onestamente possibile. Ma credo ancora nella pace, nell'amore e nella comprensione». Parole che suonano oggi tragicamente passatiste: di sicuro, fosse ancora vivo, Lennon avrebbe aderito a tutti i movimenti pacifisti formatisi man mano che il mondo riprendeva fuoco. Sarebbe rimasto un attivista.

Ancora sorpreso della tenuta delle 3 ore di registrazione del nastro, il fortunatissimo Cott ha ancora commentato: «Penso che quella conversazione sia stata una vera meditazione della mezza età». L'occasione dell'intervista, era stata peraltro la promozione dell'album «Double Fantasy» con Yoko Ono, uscito in nuova edizione per il trentennale. La vedova ringrazia («Impariamo ancora tanto da lui, oggi. John, I Love You»).

Marinella Venegoni

www.lastampa.it