Solomon Burke se n’è andato per sempre, morendo all’aeroporto Schipol di Amsterdam, città in cui si sarebbe dovuto esibire. Il mondo della musica perde con lui uno dei pilastri del soul, non a caso il suo pseudonimo era “The King of Rock’n’Soul”.
A 70 anni Solomon Burke lascia non solo milioni di fan, ma anche di suoi discepoli tra cui spicca il nome di Tom Waits. Solomon Burke inizia a muovere i primi passi nel mondo del gospel in quanto pastore, per poi lanciarsi nel mondo dello show business a partire dai primi anni ’60 con hit del calibro di “Just Out Of Reach Of My Open Arms” e “Everybody Needs Somebody To Love”.



Il 1980 segna una tappa importante per la riscoperta del sound di Solomon Burke, complice il clamoroso successo del film “The Blues Brothers”, in cui il duo composto da Dan Aykroyd e John Belushi si lascia andare a una furibonda esibizione di “Everybody Needs Somebody To Love”, finendo così per riaccendere i riflettori sul reverendo Burke.



L’ultimo decennio vede Solomon Burke di nuovo in auge grazie al riuscito “Don’t give up on me”, un album con canzoni scritte appositamente per la sua voce da tutti quegli artisti che, musicalmente parlando, gli sono debitori: Tom Waits, Van Morrison ed Elvis Costello soprattutto, ma non manca anche Bob Dylan.



“The King of Rock’n’Soul” scompare all’età di 70 anni e, oltre a un’imprescindibile eredità musicale, abbandona ben 21 figli e 90 nipoti. Scomparse così premature e inaspettate, non possono non lasciare l’amaro in bocca in quanti hanno avuto la fortuna di assistere in Italia a un concerto di Solomon Burke, come nel caso dell’esibizione all’Etna Blues Festival del 19 luglio scorso:





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Donato Capozzi