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Enrico Ruggeri, sorprese live e un libro

Si chiude con tre date al Teatro Manzoni di Milano, dal 7 al 9 ottobre, il tour “La Ruota” di Enrico Ruggeri. Uno show in cui parte della scaletta è lasciata al caso, con i pezzi “estratti” da una grande ruota virtuale. “Mi piace molto l’idea di non sapere cosa suonerò un minuto dopo” dice Ruggeri a Tgcom che sull’esperienza a X Factor dice: “E’ uno spietato gioco di società, amplificazione dei meccanismi della vita”. E scommette sui Kymera.



Il cantautore milanese si appresta quindi a chiudere trionfalmente un anno intenso e ricco di eventi. Iniziato con il Festival di Sanremo e proseguito con un album nuovo, “La ruota”, un lungo tour partito a marzo da Bologna e un cambio di scuderia televisiva dopo tre trasmissioni fatte con Mediaset. Senza contare sul piano personale la nascita della terza figlia, e “qualche soddisfazione” dalla squadra del cuore, l’Inter. Per questa tournée Ruggeri ha rispolverato un espediente che aveva inaugurato nel 1993, con il tour seguito alla vittoria al Festival con “Mistero”, quello della ruota. Questa volta la ruota non è meccanica ma virtuale (gli anni passano) ma il meccanismo rimane identico: uno dal pubblico salirà sul palco e l’azionerà per lasciare al caso la scelta del brano da suonare tra i circa quaranta segnati sulla ruota.

Come mai hai ripreso questa idea?
Intanto questo ci dà la possibilità di fare sempre un concerto diverso. Poi così veniamo incontro a quelli che nel corso del tour di spettacoli magari se ne vedono venti o trenta. Non ultimo in questo modo vorrei evitare la solita domanda che sempre qualcuno ti pone alla fine di un concerto, è cioè perché non ho fatto questo o quel pezzo. Gli album di inediti sono 29, in una scaletta normale non riesci nemmeno a fare un pezzo a disco. E poi mi dà la possibilità di interagire con il pubblico, il concerto diventa un happening.

Quante delle canzoni che suoni sono scelte da La Ruota?
La usiamo per una decina di pezzi. Ovviamente ci sono alcuni brani, da “Mistero” a “Quello che le donne non dicono”, che dobbiamo per forza fare se vogliamo “uscire vivi”. Ma per il resto ce n’è una quarantina, appunto quelle sulla ruota, che variano di sera in sera.

Un numero così alto di dischi è quasi un record. Ce n’è qualcuno di cui ti penti, che pensi che avresti fatto meglio a non fare?
No, probabilmente avrei potuto farne qualcuno in meno. Io sono un entusiasta e perciò quando ho voglia di andare in studio per raccontare qualcosa lo faccio senza remore, tanto che questo è successo molto spesso. Forse rendersi un po’ più preziosi sarebbe stato meglio. Non ho un album in particolare che mi abbia deluso ma forse se invece di pubblicarne uno all’anno li avessi diluiti un po’ di più la cosa poteva essere strategicamente più efficace.

Stai preparando qualcosa di nuovo?
Sto scrivendo un libro, che è la mia settima esperienza letteraria. Però questa volta sto scrivendo un romanzo è ci sto mettendo più tempo perché è un genere delicato. Con i racconti sei un po’ più libero e puoi permetterti anche una tecnica di caratura lievemente inferiore mentre con un romanzo la brutta figura è dietro l’angolo quindi bisogna stare attenti. Uscirà all’inizio dell’anno prossimo.

Per questi concerti che chiudono la tournée sono state preannunciate delle sorprese. Puoi anticipare qualcosa?
Magari verrano degli amici famosi ma sui quali non posso fare promesse. Proprio come nella vita, magari vengono il giovedì, magari il sabato, magari non vengono proprio. Mi piacerebbe fare qualcosa con i ragazzi di X Factor.

A tal proposito non posso non chiederti come ti trovi in questa nuova esperienza...
È divertente, difficile e dura. Ci sono anche momenti di tensione e dispiacere. È una amplificazione dei meccanisimi della vita.

Mi ha molto stupito sentirti dire, al termine della prima puntata, che era stata una delle sere più emozionanti della tua vita...
Le puntate durano tre ore e succede di tutto. E soprattutto decidi il destino di altre persone. Ci sono ragazzi il cui sogno potrebbe essere interrotto o alimentato da una tua parola di troppo o sbagliata. Ci sono una serie di dinamiche molto interessanti televisivamente ma molto delicate perché stiamo parlando di ragazzi che non sanno ancora se nella vita faranno i cantanti oppure no.

Ti senti un po’ in famiglia? Elio è un amico, Fabrizio Palermo è il tuo bassista, Alberto Tafuri ha suonato con te per anni. Manca soltanto Luigi Schiavone!
Beh, lui l’ho portato a fare le selezioni. In realtà non è che non gli avessi chiesto di venire con me a “X Factor” ma sta lavorando a un suo disco. Poi Fabrizio ha una maggiore attitudine operaia alla musica e va più volentieri in tv, Schiavone è più schivo, un uomo da studio o da palco. Comunque io cerco di crearmi delle situazioni in cui posso lavorare con persone che conosco bene. Tafuri l’ho consigliato io a Elio perché è un grande musicista. Fabrizio ormai vive solo per arrangiamenti, pezzi, tonalità, ecc. Più persone hai che conosci e meglio è per te.

Ti hanno definito perfido, stratega, subdolo. Ti ritrovi nelle accuse che ti rivolgono i tuoi colleghi giudici?
Sono le dinamiche di X Factor. Ci sono dei momenti in cui ti esponi e altri invece in cui vorresti parlar male di un ragazzo ma ti rendi conto che non è il caso e allora rinunci alla gara ed edulcori un attimo il giudizio. Ma credo che nel corso delle tredici puntate ognuno dei giudici potrà rivestire un ruolo diverso. In fondo è uno spietatissimo gioco di società.

Secondo te in cosa consiste l’X Factor di un cantante e cosa cerchi in quelli che segui tu?
Elio è maniacalmente attaccato all’intonazione, sfiora il pedante a volte, soprattutto su cantanti non della sua squadra. Mentre io sostengo che, all’interno di una intonazione accettabile, i cantanti che hanno successo in Italia da trent’anni e riempiono gli stadi lo fanno non perché sono intonati ma perché hanno qualcosa di coinvolgente da comunicare. Non sono campioni di tecnica, ma di personalità. Ed è questo che io cerco. Sono convinto che se oggi partissero in radio i pezzi di tutti i cantanti rimasti in gioco, i Kymera si riconoscerebbero subito.

Massimo Longoni



tgcom.it