MUSICA




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Bono, l'istrione col sale sulla coda (ora va adagio, ma sfodera l'acuto)

Ripartito il 360° tour da Torino - La scaletta

Un po' istrione un po' santo, marito devoto e sciupafemmine, rockstar in odore di Nobel, Bono Vox anche ieri sera allo stadio Olimpico di Torino è riuscito a calamitare le folle come nessun altro nella nostra epoca: ha carisma, è un comunicatore micidiale, con una voce duttile che sembra nata per cantare le elevazioni dello spirito e i tormenti della carne (compreso, questa volta, il mal di schiena che lo ha atterrato per due mesi). Ma mettiamo in conto anche le contraddizioni eclatanti del suo carattere, che lo rendono così simile alla maggior parte degli umani.

Il valore aggiunto è la band. Ogni buon ragazzo di buon senso che sia rimasto al mondo, esige di essere devoto di una band, perché insieme è meglio. Con un ottimo chitarrista come The Edge, in gran spolvero, e due vecchi ragazzi di mestiere macinanti il ritmo, come Clayton il bassista (ieri tutto in bianco) e Mullen il batterista (gli U2 si battezzarono nella cucina di sua madre, a Dublino), la formazione non perde appeal. Ieri notte, davanti a 45 mila persone (il manager McGuinness ha lamentato questa ridotta dimensione come unico problema torinese), è stato un evento: perché segnava il ritorno dopo due mesi di sosta forzata per l'operazione dell'ernia del disco di Bono a fine maggio, che ha reso obbligatoria la cancellazione del tour americano.

Bono ce l'ha fatta. Non saltellante come al solito però, nel suo completo di pelle nera; qualche corsetta, ma la forma completa non è ancora riconquistata; ci ha guadagnato il canto, a volte più accurato e accorato, anche se alla fine delle due ore e mezza di musica il Nostro appariva provato e non c'è stato ritorno per ulteriori bis: «Andiamo a casa anche noi», ha detto salutando con voce stanca.

In fondo, i 50 sono scoccati, e i 49 arriveranno domani per The Edge, festeggiato all'inizio con ampi «Happy Birthday». Bono ha definito dal palco gli U2 una «business family». L'immensa passerella rotonda è rimasta spesso inutilizzata. Ha prevalso lo spettacolo delle canzoni. Un occhio al cielo, uno alla discoteca. Il sogno universale, che fa aprire il concerto con «Space Oddity» di David Bowie (e chiude «Rocket Man» di Elton John), per esaltare subito dopo la gioia pagana di «Beautiful Day», e poi in omaggio al pubblico entusiasta «Magnificent», una delle poche dell'ultimo album «No Line on the Horizon», ancora in attesa - per via di vendite lente - di essere valorizzato.

La gigantesca macchina tecnologica è la più grande e sofisticata mai concepita, con lo schermo a cono che si alza e si abbassa fino al palco disegnando un altro santo, Desmond Tutu che parla dei poveri dell'Africa da salvare: ma acceca anche con disegni psichedelici e la dannazione da discoteca che a metà concerto avvolge tutto l'Olimpico in un allegro sabba indiavolato con i suoi tunz-tunz, mentre la band scende finalmente in passerella, e l'ottimo Mullen ci dà dentro con il suo tamburino in «I'll Go Crazy Tonight». Bruttarello forte, irreale, il ragnone verdino punteggiato di bottoni arancione, che allarga i quattro tentacoli quasi a riempire il prato. Un prodigio tecnologico, nato per poter permettere la visuale completa a quelli che stanno sul retropalco. Accontentati così tutti, chi ha pagato 34,50 euro su in piccionaia e chi per 287 euro sta nel pit (che aveva accolto la band sventolando bandierine colorate che disegnavano la bandiera irlandese).

Il concerto è una doccia scozzese di atmosfere. C'è la tensione spirituale prima maniera, con «Mysterious Ways» e «I Still Haven't Found What I'M Looking For» o «Elevation»; ci sono due dei tre inediti annunciati: la insinuante ballad voce e chitarra «North Star» e il rock «Glastonbury» che racconta le concitate visioni del celebre festival che Bono, immobile a letto, ha dovuto snobbare. Deliziosa suona l'antibellica «Miss Sarajevo» scritta con Brian Eno per il Pavarotti&Friends: del tenore Bono canta la parte in italiano, con tanto di acuto. Ma ecco anche «MLK», una ninnananna del 1984 per Martin Luther King, che estende il suo omaggio al premio Nobel birmano Aung San Suu Kyi. «Sunday Bloody Sunday» non è più dedicata alla maledetta domenica irlandese di Belfast: le scritte arabe, un verde diffuso sulle immagini, rimandano alla situazione drammatica di Teheran. L'ispirata «One» che dà il nome all'organizzazione umanitaria di Bono, chiude il discorso di Tutu sul riscatto del debito e sulle chances dei paesi africani: a differenza che a Milano l'anno scorso, Bono non ha citato Berlusconi che non paga la quota italiana, ma ha dedicato l'ultimo brano «Moment of Surrender» a Bill Gates che «è un genio e che ha dato tanto ai poveri». Si è chiuso così, con un pensiero virtuoso, un concerto che è durato, per i fans, una settimana di prove spese fuori dallo stadio ad ascoltare.
Prossimo concerto in Italia: 8 ottobre Roma.

La scaletta:
'Return Of The Stingray Guitar'
'Beautiful Day'
'Magnificent'
'Get On Your Boots'
'Mysterious Ways'/'My Sweet Lord'
'Happy Birthday'
'I Still Haven't Found What I'm Looking For'
'North Star'
'Glastonbury'
'Elevation'
'In A Little While'
'Miss Sarajevo'
'Until The End Of The World'
'The Unforgettable Fire'
'City Of Blinding Lights'
'Vertigo'
'I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight'/'Discothèque'
'Sunday Bloody Sunday'
'MLK'
'Walk On'/'You'll Never Walk Alone'


Marinella Venegoni

www.lastampa.it