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Cristiano De André: "Mio padre Fabrizio un amico fragile"

"Era orso, orco e alcolista. E un genio"


Cristiano De André è un cucciolo d'artista. Ferito, talentuoso. È ripartito col tour estivo, quello in cui canta suo padre. Due brani in più, Nella mia ora di libertà e A' dumenega. Successo ovunque, ma non è forse un bene che per arrivare al grande pubblico si sia dovuto sobbarcare un canzoniere non suo. «Ci rifletto anch'io, si parla di me solo per mio padre o motivi rosa (il flirt con Alba Parietti)». Eppure ha fatto molto altro: dischi di pregio, apparizioni a Sanremo. E un gusto raro come polistrumentista. Se essere figli d'arte comporta benefici, nel suo caso non necessariamente.

Ivano Fossati dice che lei è l'unica persona che ha il pieno diritto di rileggere Fabrizio De André.
«Lo ringrazio. Mio padre vestiva la sua voce di toni irriproducibili. Magari la comunanza di cromosomi e la conoscenza diretta mi aiutano. Non è facile da cantare».

Però lo cantano tutti e questa santificazione rischia di disinnescarlo.
«Rimettere in circolo le sue canzoni è una buona medicina, ma ne stanno parlando bene in troppi. Sapeva lanciare messaggi devastanti: non voleva piacere a tutti».

Stare accanto a lui non deve essere stato facile.
«Mio padre era un orso grizzly e un orco, nelle canzoni e nella vita. Aveva alti e bassi incredibili, ha passato quindici anni di alcolismo. Quando ha lasciato mia madre (Puny Rignon, ndr), ha abitato per anni all'hotel Cavour di Milano con Dori. Lo vedevo a malapena una volta a settimana, mi ci portava mia nonna. Dagli 11 ai 19 anni mi sono sentito abbandonato, poi mi ha riaccolto e chiesto scusa. Su di lui ha ragione Villaggio».

Nel dire cosa?
«Che poteva morire in una cantina qualsiasi. Le sue fortune sono state mia madre prima e Dori poi. Fabrizio era un maledetto vero, soffriva di continuo, non smetteva mai di arrovellarsi. Suo padre era presidente di Eridania, suo fratello un genio della giurisprudenza: era cresciuto tra numeri uno e aveva il terrore di non essere abbastanza bravo».

Negli ultimi anni sembrava più sereno.
«Lo era. Mi chiese anche di seguirlo in tour e curare gli arrangiamenti. Però era rimasto timidissimo e insicuro. Ti snervava chiedendoti se quella canzone andasse bene: "Ti piace? Ti piace?". Come tutti i geni, usava l'arte per sopperire a una mancanza. Era come un uomo senza un arto, che provava a ovviare a quell'assenza grazie alla creatività».

Anche la sua vita non è stata semplice.
«Quando è morto mio padre, e poi mia madre, sono entrato in una grossa depressione. Mi imbottivo di antidepressivi e ci bevevo sopra. Ero fuori di testa, ho fatto molti errori. In quel periodo di autodistruzione mi sono sentito come mio padre quando ha scritto Amico fragile: ho compreso quanto fosse la sua autobiografia, e un po' anche la mia».

Un'altra canzone particolare è Verranno a chiederti del nostro amore.
«Mio padre la scrisse per mia madre nel '73. La svegliò di notte, gliela fece sentire al piano. Poi si misero a piangere. Io li spiavo dalla mia cameretta».

La sua esecuzione di Creuza de mà con Mauro Pagani, per lo special di Che tempo che fa, è stato uno dei momenti più toccanti visti in tivù.
«È lì che ho capito che cantare mio padre aveva un senso. A fine anno uscirà il secondo cd, poi tornerò alla mia carriera. In tivù non sto molto bene. Non so se X Factor serva, so che a me non piace. Anche Sanremo aveva un senso, ma oggi? L'ultimo è stato orribile».

Si dice che lei abbia trovato dei fratelli maggiori nei collaboratori di suo padre.
«La Pfm, Mauro Pagani, Massimo Bubola. Soprattutto, Eugenio Finardi. Nel '75 apriva i concerti di mio padre. Litigavano ferocemente: Eugenio compagno convinto, Fabrizio anarchico. Una volta Eugenio mi disse: "Smettila di stare con quel borghese di m... di tuo padre, lui e il suo whisky. Vieni da me!". Nel frattempo anche lui beveva whisky e si finiva dalle canne: il clima era quello. La mattina dopo mi presentai da Finardi. Mi ha tenuto un giorno e mezzo, poi ha chiamato mio padre: "C'è qui tuo figlio, lo riprendi?"».

Anche Beppe Grillo è uno di famiglia.
«Beppe è un profeta, ha quasi sempre ragione. Sono stato l'unico ad accettare di suonare il 26 settembre, a Reggio Emilia, per "Woodstock 5 Stelle". Gli altri non hanno avuto il coraggio».

Secondo suo padre i cantautori avevano «lingue adatte per il vaffanculo», ma si erano annacquati.
«E oggi ne abbiamo piena dimostrazione. Era deluso: "Sono 40 anni che canto contro le guerre e per la giustizia, ma non è servito a nulla. Quasi quasi smetto, tanto è inutile". Se però i giovani riscoprono le sue canzoni, magari anche grazie a me, allora non è stato inutile».

Andrea Scanzi
www.lastampa.it

Mauro Pagani & Cristiano De Andrè - Creuza De Ma

Mauro Pagani & Cristiano De Andrè - Creuza De Ma