MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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La ricercata solitudine di The Niro

Il cantautore allo Spaziale

Non lasciatevi ingannare, Luglio è un mese maligno. Fa un caldo irridente, le vacanze sono in divenire, Agosto è un vagheggiato miraggio, si è lieti all‘idea di andare in ufficio pur di approf ittare dell’aria condizionata. Diciamolo, non è vita. Ma nell’estate della crisi, laddove nemmeno il calcio è stato d’ausilio, almeno ci rimangono i festival estivi. Come ogni anno lo Spaziale Festival torinese porta la giusta dose di frescura in ambito musicale: per il 2010 il programma inanella, dal 19 luglio, le Cocorosie, Micah P. Hinson, i Bud Spencer Blues Explosion e i Perturbazione. Tra gli appuntamenti in cartellone, mercoledì 21 Luglio si esibiranno i Marta sui Tubi con The Niro.



The Niro, nome d’arte di Davide Combusti, sta vivendo il classico “sogno americano”: da misconosciuto esordiente ad artista sotto contratto per una major, è in tour per presentare il suo secondo album ”Best Wishes “. Lo abbiamo incontrato, per una chiacchierata in una Torino così afosa da sembrare irreale.

Che lavoro facevi prima di diventare musicista?
Sono un ex-universitario “fallito”, ho fatto Geologia perché la famiglia di mio padre è originaria delle colline metallifere della Toscana. E’una zona piena di fossili e di reperti archeologici, visitavo le miniere abbandonate sperando un giorno di capirci qualcosa. Poi però sono passato a fare Lingue, perché lo trovavo più utile, infatti ho cominciato a scrivere canzoni in inglese parallelamente all’università. Infine ho fatto il redattore di un quotidiano a Roma, in cui scrivevo di cronaca.

Sei “figlio d’arte”.
Sì, mio padre è un ex musicista, lo è stato fino al 1973. Quando si sciolse il gruppo con cui suonava, si trovavano a Lione e dovettero tornarono a Roma a bordo di una “due cavalli”. Ci misero tre giorni per tornare! Era molto disilluso, vendette tutti gli strumenti e smise di suonare. Nonostante questo, prima che nascessi comprò una batteria e la tenne nella mia camera. Non mi ha mai insegnato niente, anzi mi diceva proprio di non usarla! Ma io rubavo con lo sguardo i suoi movimenti quando andava a suonare con gli amici.

Quando hai iniziato a suonare?
A 13 anni ho preso in mano la chitarra di un mio amico per provare, dato che sono mancino mi dispiaceva girargli le corde e cercavo di suonare da destro…Dopo una settimana riuscivo già bene, quindi ho continuato. Suono anche altri strumenti, come la batteria, che tira fuori un lato di me più fisico, quello forse più passionale.

Come hai iniziato a cantare?
Sono molto timido e non pensavo di essere un cantante. Sinceramente, non lo penso ancora adesso! Non ho neanche mai studiato canto… Un giorno ho deciso di formare una band, lasciando tutte le formazioni in cui ero il batterista per suonare solo le mie canzoni. Era una band strana perché io portavo tutte le musiche, tutti i testi e mi sentivo un po’ limitato, perché le scelte della band erano democratiche e tutto il materiale era mio. Non abbiamo mai discusso tra di noi, ma alla fine siamo rimasti in due e l’altro mi disse:”Guarda, secondo me sei un cantautore“. Da lì mi si è aperto un mondo e ho cominciato a scrivere molto di più… Ormai se non scrivo un pezzo al giorno mi sento male…(ride N.d.R.)



Come è nato il tuo nome d’arte?
Le prime musiche che ho scritto erano colonne sonore, mettevo i film in tv, abbassavo il volume e suonavo la chitarra, pensando: “Chissà come sarebbe questa scena se ci fosse questa musica…”. Mi è venuto naturale cercare un nome che fosse un tributo al cinema, visto che era la mia fonte d’ispirazione principale. In realtà come nome avrei voluto“Bogart”!

Come hai ottenuto un contratto discografico con l’Universal?
Nel 2006, quando aprii il concerto di Carmen Consoli a Londra c’era un emissario dell’Universal inglese tra il pubblico. Rimase molto colpito e mi segnalò all’Universal italiana . Alla fine la cosa buffa è stata che l’Universal italiana rispose “No, peccato che non canti in italiano”, l’Universal internazionale invece disse “Lo vogliamo subito!” quindi alla fine ho firmato con la divisione internazionale.

Come sono i rapporti con la casa discografica? Quanta libertà ti lasciano?
I rapporti sono sempre stati molto corretti. Il primo album l’ho vissuto quasi come una favola, sembravo il loro “figlio unico”. Ora con la crisi, con l’avvento del talent show, le cose sono un po’ cambiate, ma io continuo a fare la mia musica, vado dritto per la mia strada. Sono molto aperto a discutere con la casa discografica, ma se una cosa non mi va non la faccio.

Che opinione hai del talent show?
Bisognerebbe dare spazio non solo a chi canta delle cover ma anche ad uno che prende la chitarra e comincia a suonare, a delle band che suonino solo le proprie canzoni. Si perde un po’ di magia con il talent show, la massa si affeziona al personaggio, fregandosene poi della musica. Mi piacerebbe che il ricavato di questi programmi venisse investito per sviluppare un mondo musicale più di qualità. Ci sono bellissime voci nei talent, ma non mi riesce proprio di innamorarmi di qualcosa che esce da lì.

Che rapporto hai con il tuo pubblico?
Mi arriva molto amore, probabilmente per il fatto che sono molto sereno su quello che faccio. Spesso mi commuovo, e potrei continuare a suonare per ore…Il pubblico americano ha un approccio molto libero, vengono a parlarti prima del concerto, ti chiedono che cosa suoni, ti dicono: “Vabbè , ti ascoltiamo”. Anche il pubblico francese mi piace molto, tutte le volte che è capitato mi sono trovato benissimo. Per quanto riguarda il pubblico italiano, in ambito indipendente non mi ha aiutato avere un contratto con una major. In realtà sono anni che giro l’Italia per suonare, ho fatto tanta gavetta anche prima di avere un’etichetta. Sento comunque di far parte dei gruppi della scena indipendente, anche per ragioni d’amicizia, ad esempio allo Spaziale suonerò con i Marta sui Tubi che sono grandi amici, farò dei pezzi con loro, ci mischieremo sul palco. Ho cantato in italiano per Fiumani, per un tributo ai suoi Diaframma. Mi ha scritto la notte di Capodanno e gli ho risposto subito, poi ho pensato:”Mamma mia, che sfigati che siamo, invece di stare a divertirsi!”.

Ho letto che hai aperto un concerto dei Deep Purple.
È stata una serata curiosa, mi è arrivata questa telefonata:“Guarda, devi aprire per i Deep Purple, non è uno scherzo!”. E’ un gruppo con un pubblico veramente tosto, quando sono salito sul palco mi hanno fischiato tutti. Allora ho detto al microfono la prima cosa che mi è venuta in mente: “Non mi avete riconosciuto?” e ho cominciato a suonare. Questo li ha zittiti e alla fine mi hanno applaudito, esco dal palco e i Deep Purple mi fanno: “Sei un eroe!”. Infatti pare che la maggior parte dei gruppi che gli fa da spalla vengano cacciati dopo due pezzi. Addirittura uno dei loro roadie aveva una cicatrice dall’occhio alla bocca, mi hanno raccontato che era il batterista di una band che aveva aperto per loro, che si prese un barattolo di pomodori in faccia… Meno male che l’ho saputo dopo!

Da cosa hai tratto ispirazione per l’ultimo album?
Sono stato 36 ore consecutive a casa a scrivere. Alla fine non me ne ero reso conto ma avevo scritto un film musicale, un “concept album” inconsapevole, ed è nato “Best Whishes”. Il tema principale è la solitudine, mentre nel primo album parlavo in prima persona, in questo secondo disco parlo ancora di me, ma raccontando storie di altri personaggi. Sono storie di solitudini, anzi undici sfaccettature di solitudine. A volte “solitudine” è intesa come il semplice benessere nello stare da soli.

Se non facessi il musicista, cosa ti piacerebbe fare?
Mi piacerebbe fare il giornalista, è quello che facevo un tempo. Scrivevo di cronaca nera ed è anche capitato che mi minacciassero. Avevo trascritto sul giornale un comunicato della polizia in cui si parlava di un incendio ad una proprietà di un “pregiudicato”. Il tizio non ha gradito la definizione e ha chiamato la redazione urlando che mi avrebbe ammazzato…Mi divertivo molto, chiamavo la Questura ogni mattina, era un lavoro molto vivo, molto d’azione.

Come si può fare della musica un mestiere?
Per vivere di musica ci devi credere in un modo totale, non deve essere importante se riuscirai a sfondare oggi, domani o tra dieci anni, perché suonare è quello che continueresti comunque a fare. Non ho mai pensato di farlo diventare un mestiere, ma non potrei mai smettere di suonare, mi piace troppo. Ho fatto tanti lavori, anche il postino, e ora scrivo brani su commissione, ma sono comunque molto concentrato sulla mia musica.

Giulia Caterina Trucano



www.tgcom.it

The Niro - So Different

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