MUSICA




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Aznavour: «Dopo tante star ora vorrei duettare con Mina»

Oplà, lasciate fuori il mondo. Se poi lui, Charles Aznavour, ti viene incontro sul vialetto in mezzo al sole, qui nella sua villa L’Aigo Claro sperduta nell’Alta Provenza, ecco, sembra proprio di tornare indietro all’epoca dei grandi chansonnier che con una parola disegnavano il proprio tempo. «Sto qui quattro mesi all’anno» dice lui, distendendo allegro le sopracciglia sempre tristi. Aznavour ha 86 anni e, manco a dirlo, non li dimostra. Si sta riposando prima di cantare, venerdì, in Piazza San Marco a Venezia in quello che qualcuno ha definito l’evento dell’anno perché Aznavour non canta lì da quasi tre decenni ma che lui riassume semplicemente così: «Lo dividerò in due parti cantando in italiano e in francese». E poi entra in questa casa di lusso provenzale, pacata ed elegante, grandi stanze che una dopo l’altra portano al suo studio di compositore che mescola le epoche: sul tavolo un enorme computer, alle pareti i segni del successo. Dischi d’oro. Lauree honoris causa. Foto strepitose di un tempo che fu. Nel 1998 un sondaggio di Time lo incoronò come più grande del secolo, più di Sinatra o Elvis o Lennon ma passa oltre: «Mi ha fatto piacere ma non mi sono gonfiato il petto. So che le mie canzoni piacciono anche ai giovani, che iniziano a scoprirle quando si innamorano. In fondo sono l’unico francese che sia entrato nella Hall of Fame, sono stato in testa alla classifica americana davanti a tutti i grandi, ho fatto tour da tutto esaurito. Perciò ora non mi rimangono più sfide da superare, voglio solo fare le cose che mi piacciono».
E così sarà in piazza San Marco, tre giorni dopo sulle Terrazze del Duomo di Milano e poi ancora nella Piazza Rossa di Mosca o davanti all’Acropoli di Atene. Quando parla, si rilassa. Poi tira fuori un Dom Perignon del 1983, lo versa in un flute e continua a parlare placido senza limiti. Dei suoi ulivi: «Ne ho ottocento ma ne vorrei il doppio». Della politica, argomento che gli piace assai, si direbbe: «Ho cantato per Giscard D’Estaing e per Mitterand ma io non parteggio per nessuno: il mio mestiere è soltanto fare il cantante». Di fianco a lui, al muro, un enorme medaglione con il volto di Charles De Gaulle: «Ha fatto di tutto per la Francia ma in giro è più facile trovare un busto di Lenin piuttosto che una sua effige. Questa me l’ha regalata il mio macellaio. Sono nato in una famiglia comunista ma sono rimasto agghiacciato da Stalin, alla politica ho detto basta». Scherzando, spiega con imbarazzante naturalezza di ottanseienne che «ormai per due giorni alla settimana faccio l’ambasciatore dell’Armenia a Ginevra, per altri due sono un cantante e per il resto rimango padre di famiglia». E poi, quasi en passant, conferma che sua figlia Katia sarà sul palco con lui a Venezia, come corista. E così è difficile definire quest’uomo che ha avuto tre mogli, sei figli e chissà quanti nipoti, ma è con Ulla da quarantaquattro anni e gli si illumina lo sguardo quando dice che «le ripeto sempre che questa è la sua casa anche se l’ho arredata io con uno stile toscano, mettendoci dentro tutte le cose particolari che ho raccolto in giro».
Un uomo d’altri tempi. E dire che ha viaggiato tanto, lui figlio di armeni, sin da quando nel 1946 Edith Piaf si accorse che questo piccoletto aveva una voce che portava con sé malinconia ed energia, poesia e sesso. Prima girava con il duo Roche & Aznavour, debuttanti allo sbaraglio, ma oggi sembra che sia dietro l’angolo un duetto addirittura con Mina, magari su brani del passato anche se a lui, l’ultimo degli chansonnier, piacerebbe incontrarla in un brano inedito: «Ne sto scrivendo una ventina, ma tanto so già che nel prossimo album ne metterò al massimo dodici». Quando uscirà, pensate che molto probabilmente le avrà composte qui, con il sole che filtra tra le tende bianche, in un silenzio dolce che rimane fuori dal tempo. «Se non oso, non canto. Le canzoni degli altri non sono mai abbastanza forti. Le nostre sono nazioni permissive, ma l’ultimo capace di provocare è stato Gainsbourg, ormai i nuovi cantanti hanno paura delle parole e di essere criticati». A lui, invece, chissenefrega: dice quello che vuole, persino quello che in Italia non va di moda perché, mamma mia, non piace alla gente che piace. Ad esempio: «Berlusconi? Tutti lo criticano. Ma tutti hanno dei difetti. E non bisogna dimenticare che se la gente lo ha votato, vuol dire che crede in lui». E poi si alza, fa un giretto nel suo studio, cerca delle robuste zoccolette di legno ed esce dai nostri tempi così brutti. «Ora vorrei fare due passi tra i miei ulivi». Buona passeggiata, allora.
Paolo Giordano
www.ilgiornale.it