MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Al luna park Muse è rock-show (In palio c'è la successione agli U2)

Palco assai originale, un tetraedro grigio severo e inquietante proiettato verso il pubblico. Con un frontespizio di proiezioni, e circondato di enormi sfere luminose. «E' la facciata di un grande palazzo, un ministero alla "1984" di Orwell», ha spiegato Matt Bellamy, il leader dei Muse che ieri sera hanno aperto a San Siro la stagione della cosiddetta Scala del rock, nel loro unico concerto italiano che comprendeva una pesante compagnia di giro: Calibro 35 (rielaborano con sapienza musiche dei telefilm polizieschi dei '60/'70), gli scatenati Friendly Fires e ancora (eterni supporter) i pur bravi Kasabian, a tenere tutti alto il vessillo di una serata un po' indie e un po' no che ha raccolto 61.800 paganti (data storica: per la prima volta abbiamo visto i dati Siae).

Per i Muse suonare a San Siro è un traguardo. Il minuscolo Bellamy, per via di una morosa sul lago di Como ci ha frequentati a lungo (ora non più) e lo sa. Al fotofinish per la band destinata a rimpiazzare gli U2 quando i reumatismi e il mal di schiena avranno (il più tardi possibile) piegato Bono&soci, ci sono ormai soltanto loro e i Coldplay. Almeno fino a questo punto. Il passo in avanti è stato per i Muse l'ultimo album «The Resistance», sintesi d'una ricerca di originalità che affonda nella riscrittura del concetto di prog-rock; anche se poi, dal vivo, c'è piuttosto una torrenziale insalata mista di varie ispirazioni. E non sono pochi i momenti fuorvianti, inattesi quanto divertenti: la cover di «Feeling Good», omaggio a Nina Simone dove Bellamy lavora sui colori della voce; o la melodia di «House of the Rising Sun» che fiorisce all'improvviso dalla chitarra di Matt, subito dopo che si è conclusa la performance a sorpresa del cantante dei Jet Nic Cester, in una spessissima «Back in Black»: un tributo agli AC/DC.

Sembra tutto fatto per scompaginare i testi inquietanti, talvolta messianici, della band. Che poi torna ai suoi temi anche figurativamente. Le proiezioni trasformano il palco in una sorta di prigione, e nel primo bis con «Exogenesis pt.1» (inizio di una lunga suite di tre pezzi nell'album) un disco volante argenteo si avvicina dal nulla al palco: in realtà, si rivelerà una specie di paracadute al quale sta appeso un acrobata che danza leggiadro nell'aria, per poi atterrare dolcemente sulle scalinate dietro la struttura.
Il concerto (se ancora si può chiamare così uno show di questo tipo) è un enorme investimento come effetti speciali e sonori. Si era aperto con bandiere rosse e tricolori che garrivano sul palco prima di «Uprising» (rivolta): «Cercheranno di mandare avanti le droghe/Mantenendoci tutti a un livello più basso..», con invito ottimistico alla lotta: «Finiranno di degradarci...usciremo vittoriosi».
I tre Muse sono determinati, coesi. Sorretti da un tastierista, condotti nel repertorio dal genietto visionario Bellamy che sfracella la chitarra attraverso «New Born» o «Guiding Light», «United States of Eurasia» o «Starlight», cantando all'interno del palco-palazzo disegnato come un'astronave.

Stagione avarissima comunque, quella del San Siro 2010. Dopo i Muse, ci sarà solo il concerto di Ligabue (che ieri era qui) il 17 luglio: i comitati no-rock degli abitanti intorno allo stadio festeggiano, ma è una mesta indicazione che per la musica popolare anche dal vivo è cominciata una stagione di vacche magre. Vedrete, sarà una rivoluzione.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it

Muse - Feeling Good, San Siro, Milano 2010

Muse - Feeling Good, San Siro, Milano 2010