MUSICA




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Eleganza, questa sconosciuta - di Mina - La Stampa - 21.02.10

Eleganza, questa sconosciuta

Obbligatorio. Come il richiamo di una vaccinazione. E ugualmente poco dilettevole. Una fastidiosa dolenza. Una fi tta lunga cinque giorni. Poi, però, passa. E si rimanda l’ulteriore richiamo all’anno venturo. Ma questa profilassi a cosa servirà? Da cosa ci metterà al sicuro? Lascio a voi le possibili risposte. Eccola qui, allora, l’obbligatoria tirata di metà febbraio in onore (!) del Festival di Sanremo che prova a compiere sessant’anni. Come ogni anno, ciò che mi anima è innanzitutto il rispetto e l’amore per la musica e i suoi interpreti cui sono legata da colleganza, compassione nel senso etimologico della parola, comunione di speranza.

Sembra diventare sempre più difficile parlare bene del Festival di Sanremo, tanto è vero che pochi lo stanno facendo. Hanno tirato di quelle legnate da lasciare tramortiti i meritevoli malcapitati. Stare nel coro? Dissociarmi? Buoneggiare a vanvera? Districarmi dal giudizio, vaneggiando falsità? Sciorinerò qualche banalità nella fiera dei luoghi comuni più degradanti, «un po’ per celia e un po’ per non morir». A voi lascio il compito di rintracciare le eventuali sensate comprensioni e gli accettabili significati, se ci sono. Primo impatto: il nazional-popolare non sarebbe di per sé un grande orrore, ma a tutto c’è un limite.
Quando si mischia con il provincialismo e l’incultura a tutti i costi, per far sì che ognuno si senta a proprio agio e milioni di spettatori si possano ciucciare indifferentemente la pubblicità e lo spettacolo senza soluzione di continuità di forma e contenuto, diventa insopportabile e, forse, immorale. Come dice il deliziosissimo Costantino della Gherardesca, «diffondere l’ignoranza non è un servizio pubblico». L’eleganza, questa sconosciuta, riceve definizioni e interpretazioni troglodite. E non sto parlando di fashion o, almeno, non solo di quello. Maleducati e patetici tentativi di arruffianamento, indecenze, movenze, coreologia, cattivo gusto, tutti insieme sembrano voler concorrere alla volgarità come grande pregio dell’evento per una sua diffusione uniforme, democratica, demoallettante e demoammiccante. Due eccezioni. Marco Mengoni, più potente della canzone che ha scelto, talento autentico, controllo invidiabile, gran figo con un gran futuro. Nilla Pizzi, la regina, che, quando apre bocca per cantare, supera l’età, il disagio ed esce con la voce identica a quella della sua gioventù. È tutto.

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