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Il ritorno di fiamma per Aznavour 85 anni e 105 minuti filati di canto

Il debutto del tour al Regio di Parma, fra il pubblico Dalla e Capossela



Oggi che a 30 anni si è considerati vecchi, diventa singolare assistere al ritorno di fiamma del pubblico per un omino minuscolo in nero il cui ricordo giaceva negli anfratti delle memorie degli Anni '50/'60, sommerso poi da orde di rockettari, cantautori, metallari, new wave new age e via discorrendo. Ma c'è chi, in fondo, tutta questa orda variopinta non ha neanche vissuto, rimanendo appeso a quei suoni e a quei mondi che ora vuol correre a ritrovare: quasi tutti i teatri italiani che aspettano Charles Aznavour hanno ancora pochi biglietti in vendita, tranne l'Auditorium del Parco della Musica già straesaurito e pure un po' in fibrillazione perché Silvio Berlusconi the Prime Minister, ha chiesto i biglietti per andare ad ascoltarlo.

In realtà, Aznavour era tutt'altro che scomparso. Preso atto del vento infido, per venti/trent'anni ha semplicemente diradato o fatto cinema, si è dedicato ad attività benefiche o politiche da ambasciatore della sua vera patria, l'Armenia: e semplicemente, è rimasto lontano dall'Italia. Che l'altra sera lo ha riaccolto da divo, al debutto del tour fra gli ori del Teatro Regio di Palma in un concerto carissimo, popolato di permanenti platinate, sorprendente soprattutto. Perché Monsieur Aznavour ha 85 anni e mezzo, mica bruscolini. E li porta con consapevole civetteria nei capelli azzurrati, nel corpo smilzo e scattante, con un'energia che gli consente di cantare per un'ora e 45 minuti, senza intervallo (a differenza di molti che potrebbero essergli figli) e con anche una verve fisica che lascia interdetti, come quando si guardava increduli il novantenne Compay con il suo sigarone in bocca.

La voce? Anche la voce c'è ancora. Certo, quel magico timbro ruggente (i moderni la definiscono «una voce da dopo l'amore») dentro la erre arrotondata ha perso qualche ormone, ma con l'aiuto di una band alquanto più giovane e cosmopolita, con il supporto della figlia corista Katia, le piccole lacune suonano rimediate. Meno rimediabile è invece l'evidente difficoltà con la lingua italiana, che deve aver dimenticato dopo tanti anni, al punto che spesso si rimpiange il francese; sono molti i titoli che hanno fatto sognare le signore le quali ora, nascoste nei palchi del Regio, sospirano piano quando arriva «Devi sapere» («Il faut savoir») o «L'istrione», un poco orbe sì della loro drammaticità, ma delle quali si apprezzano i testi, scritti da Giorgio Calabrese, tarati sugli effetti di un'epoca in sax che guardava alle casalinghe e alla letteratura, non volendo lasciare indietro nessuno. Testi tanto cari, per dire, a Mina, che dicono cose e non menano il can per l'aia, come anche la tristissima «Ed io tra di voi», dove una sola frase dà il senso del dramma: «Tu ridi troppo... hai scelto già».

L'uomo parla sei lingue, è francese come cultura, ma resta profugo a vita, anche oggi che ha i capelli azzurri. Il concerto si apre infatti con «Les emigrants», decolla con «Dopo l'amore», e si giova, nel progredire, di quel recitarcantando che è sempre stato una sua specialità. Monsieur Charles canta in inglese («She»), in spagnolo («T'espero»), ma quando atterra sul francese è ancora imbattibile nella sua poetica della disperazione, dell'amor perduto e dei ricordi che affiorano in «La Bohème» (per fortuna in francese) o in «Com'è triste Venezia». E qui si è ormai alla conclusione di una serata davvero speciale: un soffio di passato travestito da presente. Trionfo.

Il tour: 3 novembre Milano, 4 Roma, 6 Catanzaro, 9 Bari.

Marinella Venegoni

www.lastampa.it