MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Miles, 50 anni di "Kind of blue" di Riccardo Barlaam (IL SOLE XXIV ORE)

«Ai tempi del bebop tutti suonavano velocissimi. A me non è mai piaciuto suonare tutte quelle scale. Niente che valesse la pena di ricordare. Ho sempre cercato di suonare solo le note più importanti di ogni accordo, per sottolinearle». Nella penombra della sala prove Miles Davis suona la tromba. Ripiegato su se stesso. Come sempre. Contorto, piegato sullo strumento. Quel pezzo di metallo lucido sembra il prolungamento della sua anima. Anima che geme. Sospira. Grida.

Giusto 50 anni fa, Miles Davis pubblicava uno dei suoi capolavori: «Kind of blue». Lui era sempre avanti, vero e proprio laboratorio musicale vivente costantemente proiettato nel futuro. In arcipelaghi sconosciuti. Tutti gli altri allora erano drogati di hard bop, fraseggi veloci, ritmi in 4 e suoni pieni. Miles invece cominciò a usare sistematicamente la sordina Harmon. Un suono lieve, soffuso, lirico e sensuale che lo caratterizzerà fino al periodo elettronico. Kind of blue inaugura l'età del jazz modale. Cominciò a registrarlo nel marzo del 1959. Al suo fianco un team di musicisti che negli anni successivi sarebbero diventati immortali protagonisti dell'epoca d'oro del jazz. A partire da John Coltrane, vera e propria leggenda del sax tenore poi diventato uno degli artefici, insieme a Ornette Coleman della rivoluzione free jazz alla fine degli anni '60. E poi Julian Cannonball Adderley al sax contralto. E la sezione ritmica affidata a Paul Chabmers (contrabbasso) e Jimmy Cobb (batteria). Al piano c'era Bill Evans, pianista bianco, di scuola classica «ma a me - diceva Miles - non interessa di che colore hanno la pelle i figli di puttana che suonano con me. L'importante è come suonano». Le registrazioni vennero effettuate sulle basi armoniche di Davis in sole due sessioni. Improvvisando. Dopo questo disco il jazz è diventato un'altra cosa.

18 agosto 2009