MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Svolte epocali /Il rock è morto (e anche il futuro sta poco bene)

Svolte epocali /Il rock è morto (e anche il futuro sta poco bene)



Non c'è da stare allegri, sotto il cielo della musica popolare. Lo sfruttamento intensivo del nostro Io bambino, il suo risucchiamento della Rete, ha prodotto una crisi senza precedenti; ha trasportato l'immaginario dalla sfera dei sogni e delle emozioni all'asettico mondo del consumismo. Se i supermercati, gli ascensori e gli studi dei dentisti diventano dispensatori universali di suoni commerciali, se tutto si riduce a merce o se basta schiacciare gratis un tasto, quale prospettiva può avere un universo così fragile e discontinuo come la creatività? Infatti, molti dei grandi Vati del pop tacciono, o non stanno più producendo canzoni indimenticabili. La memoria, tra l'altro, s'è fatta cortissima e confusa: e sono dolori, cadute di simboli e di dei, perché la crisi si riverbera, in un perverso gioco di domino, sull'indotto che a lungo ha supportato il costrutto musicale, ridotto ad arrancare dietro sponsor sempre più tirchi, e comunque sicuramente in crisi pure loro.

Per esempio. I quarant'anni di Woodstock resteranno affidati a volumi e film di ricordi (sempre più labili) di protagonisti e organizzatori: questa volta non si celebra perché uno dei promoter del '69, Michael Lang, non ha appunto trovato sponsor per l'anniversario cruciale che lui, furbetto, voleva tenere a Brooklyn e non nel luogo originario, e non a Ferragosto ma il 21 settembre durante la settimana del Clima, per incamerare finanziamenti indispensabili destinati a una macchina infernale di costi sempre più elevati.

E' sempre l'America che traccia il solco: anche l'editoria musicale rock&dintorni è in crisi nera. Hanno chiuso riviste di tendenza come Vibe e Blender, il prestigioso Rolling Stone si è dato una riaggiustata al ribasso, così come Spin. L'onnipresente Rete surroga tranquillamente approfondimenti e anticipazioni, e ai giudizi critici nessuno bada più, ognuno è critico per conto proprio: anche in questo settore il giornalismo deve fare un po' mea culpa, ma se la musica esce dall'immaginario, se non rappresenta più sogni, simboli e bisogni, si perde ogni sacralità. Meglio un videogioco, oggi, per tanti ragazzi che per la musica non hanno mai speso un soldo.

E, a proposito: fantasmi immensi dominano le notti dei signori dei tour internazionali. In dieci anni, le vendite dei biglietti sono più che triplicate (da 1,3 milioni di dollari nel 1998 ai 4,2 dell'anno scorso), ma il parco di megastar in grado di far accorrere folle oceaniche si va assottigliando. Ticketmaster e Live Nation, nella pianificazione della loro fusione, hanno dovuto pensare al futuro: e rassegnarsi al fatto che grandi campioni d'incasso come i Rolling Stones, invecchiando, usciranno sempre più raramente; così come gli Eagles o come i più tonici U2 e Madonna, che pure di questi tempi sono sottoposti da Live Nation a un trattamento intensivo, con due anni di concerti invece che uno.

Ma chi, dopo di loro? Che sarà del grande baraccone, nel giro di 10 anni, quando Bono avrà i capelli bianchi? Coldplay e Jonas Brothers sono carte spendibili nei decenni? Il vivaio è semideserto, la crisi della musica registrata investirà pure le gigantesche macchine da soldi dei tour. La fine del vivaio dell'idolo globalizzato, segna l'inizio di un'èra di cui ancora non si possono disegnare i contorni.



Marinella Venegoni

www.lastampa.it