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Leonard Cohen a Venezia, l'instancabile arte della melodia semplice e geniale

Scrittore dagli anni ‘50, cantautore dai ’60, rockstar di culto negli ‘80, monaco buddista nei ‘90, poeta tutta la vita. Leonard Cohen, settantacinquenne il prossimo settembre, torna in Italia per un’unica data il 3 agosto a Venezia, in Piazza San Marco, i biglietti costano dai 40 ai 170 euro (circuiti di prevendita www.boxofficeitalia.com - www.boxol.it – www.ticketone.it), ma l’occasione è ghiotta, significa ascoltare le sue struggenti composizioni nella cornice suggestiva per eccellenza.

Saltando l’ultimo Dear Heather del 2004, Cohen andrà a ritroso nella sua storia musicale. Da Ten new songs del 2001 pesca In my secret life e Boogie Street, la strada di Singapore che di giorno è un bazar e di notte un luogo per incontri a luci rosse, a riprova che la sua ricerca di verità avviene indagando tra gli opposti.

Da The future del 1992 (uno dei maggiori successi e ultimo disco prima di ritirarsi per cinque anni in un monastero buddista) estrae i pronostici apocalittici The future, Waiting for the miracle e Anthem, che fecero da colonna sonora al film di Oliver Stone Assassini nati, poi Closing time. Da I’m your man del 1988 regala l’omonima e languida canzone, insieme a Ain’t no cure for love, Everybody knows, First we take Manhattan, Take this Waltz (il cui testo è traduzione del Piccolo valzer viennese di Federico Garcìa Lorca) e Tower of song.

Da Various positions del 1984 prende il romanticismo disperato di Dance me to the end of love, If it be your will, e la ormai arcinota Hallelujah, coverizzata da oltre duecento artisti (ma la versione di Jeff Buckley resta insuperata e ha avuto il merito di riportare Cohen all’attenzione del grande pubblico). Da New skin for the old ceremony del 1974 sceglie Who by fire? (ovvero il testo liturgico Unetanneh Tokef musicato), I tried to leave you e Chelsea Hotel, dedicata a Janis Joplin. Viaggiando nel tempo, da Songs of love and hate del 1971 rilegge la commovente missiva di Famous blue raincoat, da Songs from a room del 1969 il manifesto di libertà Bird on a Wire e The Partisan (adattamento di "La complainte du partisan") e dall’esordio discografico del 1967 Songs from Leonard Cohen prende la triade plumbea Sisters of mercy, So long Marianne, Suzanne. E chissà che non metta in scaletta anche Avalanche e l’addio Hey that’s not the way to say goodbye, prima della declamazione di A thousand kisses deep e della citazione biblica Whither thou goest.

Cohen ha dichiarato: «Quando invecchi hai meno voglia di comprare l’ultima versione della realtà». Invece proprio un suo concerto di oggi è un appuntamento a cui non mancare: melodie semplici, arrangiamenti essenziali, capelli grigi e una voce barriccata, che negli anni è caduta nelle profondità, è un pozzo di esperienza che rimbomba.

Ogni brano è la distillazione di molti, molti versi, perché Cohen è uno che aspetta che arrivi il termine perfetto, sa attendere anche anni per quella parola esatta. Visionario, attento osservatore delle debolezze e del lato oscuro dell’individuo («C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce»), ha scandagliato negli abissi dell’amore, trattato il sesso e gli eccessi, la religione, ha sempre descritto i perdenti invece di esaltare i vincitori perché «è nella sconf itta che si manifesta la gloria dell’uomo».

Sono in molti in Italia (De André e De Gregori su tutti) e all’estero (da Damien Rice a Rufus Wainright, U2 e Nick Cave, considerato il suo erede) ad essere stati influenzati dal suo repertorio e a riconoscergli il merito di aver elevato la musica attraverso la poesia. Chi pensa di non conoscerlo, al concerto si troverà a dare finalmente un volto e un nome all’autore di canzoni memorabili.

Un consiglio: traducete i suoi testi per capirne il peso e per innamorarvi mortalmente di una persona qualunque che domani avrete già dimenticato.


Simona Orlando

www.ilmessaggero.it

Re: Leonard Cohen - Boogie Street

Leonard Cohen - Boogie Street